Benvenuto: PAX et BONUM

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martedì 29 novembre 2011

Salmo 13

Salmo 13

Fino a quando, Signore,
continuerai a dimenticarmi?
Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?
Fino a quando nell'anima mia proverò affanni,
tristezza nel cuore ogni momento?
Fino a quando su di me trionferà il nemico?
Guarda, rispondimi, Signore mio Dio,
conserva la luce ai miei occhi,
perché non mi sorprenda il sonno della morte,
perché il mio nemico non dica: «L'ho vinto!»,
e non esultino i miei avversari quando vacillo.
Nella tua misericordia ho confidato.
Gioisca il mio cuore nella tua salvezza
e canti al Signore, che mi ha beneficato.
Quale realismo non traducono queste parole! È tutto il dramma della vita umana che in queste parole si esprime; di contro a questo dramma, il silenzio di Dio: fino a quando? L'anima sa di essere scelta da Dio, l'anima crede nel Suo amore per lei e l'anima si sente sola: pur assicurandola della sua protezione, pur avendola eletta fra tutte, Dio è come se la abbandonasse a tutte le forze del male.
La testimonianza di un'anima fedele a Dio è la persecuzione che ella deve soffrire, ella vive quaggiù in un mondo che le rimane nemico e, rimane in un mondo che non sarà mai la sua patria.
Si vivesse almeno nascosta, si vivesse almeno inosservata dagli altri, se potesse essa almeno essere dimenticata e passare attraverso questo esilio nel silenzio e nella pace!
Invece è proprio del mistero cristiano, che questi due mondi, il mondo del peccato e il mondo della santità, il mondo di Dio e il mondo del maligno, non siano estranei fra loro, non siano l'uno dall'altro separati e divisi ma in perpetua lotta, in una lotta drammatica in cui ogni potere sembra donato al male. Sembra che il bene non abbia alcuna protezione e di difesa. E così rimarrà sino alla fine, per ogni anima che Dio elegge e per tutta quanta la Chiesa. Guai se non ci fosse il segno della Croce che ci testimoniasse di non essere di questo mondo, ma di essere stati scelti da Dio. D'altra parte come può l'anima tollerare la croce, la sofferenza, la persecuzione, l'odio dei nemici? Che forse l'uomo non è stato creato per la gioia? che fosse l'uomo non è stato creato per la felicità? Come può accettare questo destino di sofferenza, di persecuzione, di umiliazione, di morte, senza sgomento, senza cadere quasi nella disperazione?
Fino a quando? L'anima non regge più, e Dio non interverrà che alla fine, quando non vi sarà più tempo: allora sarà l'ora di Dio, non prima. Fino a quando? Così questo gemito, questo grido dovrà alzarsi sempre finché l'anima non abbandoni questo mondo, finché la Chiesa intera non precipiti oltre l'economia presente, nella pace e nella gloria di Dio. Dio ci ha scelto, ci ha eletto, per poi di gettarci in mano a chi ci doveva perseguitare. Ci ha scelto: ma l'elezione divina al contrario di essere protezione e difesa, sembra piuttosto abbandonarsi a tutte le ingiustizie, a tutte le persecuzioni, all'odio, alla sofferenza, alla morte. Dio ci ha scelto soltanto per caricarci di pena. È così? No, non è così. L'elezione divina ti strappa alla tua vita tranquilla, alla tua vita ordinaria che potrebbe essere una vita di pace: nella misura che Dio ti elegge ti getta anche nelle fauci del dragone; nella misura che Dio ti sceglie, nella stessa misura ti abbandona alla morte; Egli sembra sceglierti soltanto per il sacrificio. E tu devi accettare la volontà di Dio come Gesù accetto il calice che il Padre gli aveva preparato.
Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? È come se Dio dopo averci scelto, si fosse dimenticato di noi. In realtà Egli si ricorda di noi, l'elezione persiste, ma persiste in questo: nel volerci condannare alla morte. Se Gesù deve sopportare la sua passione, deve accettare la sua morte, Egli non l'accetta soltanto in quanto è un'offesa, in quanto è una condanna che gli viene dal mondo, ma in quanto è anche la volontà del Padre, in quanto ha voluto così Colui che Egli ama e Colui dal Quale Egli è amato di un amore immenso.
Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? Per l'esperienza umana è come se veramente Dio ci avesse abbandonato, come se si fosse allontanato da noi, come se Dio oltre che averci dimenticato, avesse volto la faccia da noi. Il Padre sembra essere divenuto nemico. Questa l'esperienza dell'anima. Non potrebbe essere altro che questa: se non fosse questa non saremmo più cristiani, perché questa è stata l'esperienza religiosa di Gesù. Padre, se è possibile allontana da me questo calice, peraltro non si faccia la mia, ma la tua volontà. Sulla croce questa preghiera che in fondo supponeva ancora un rapporto d'amore, diviene un grido che sembra disperazione e bestemmia: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? È il Figlio di Dio che grida così.
Che meraviglia che sia questo il grido anche di tutti coloro che debbano vivere lo stesso mistero, che debbono partecipare alla medesima morte? Fino a quando? Dio è come non fosse: tu ti sei donato a Lui, tu hai sacrificato tutta la tua vita per Lui, e in cambio per ricompensa, non hai che questo silenzio da parte di Dio, non hai che l'odio, o almeno la persecuzione da parte degli uomini, non hai da ogni parte che pena e dolore. Fino a quando? L'anima che era stata creata per la felicità e la beatitudine, è invece totalmente abbandonata dalla sofferenza e alla morte, deve sentirsi dilaniata, schiacciata, mangiata, e questo sino alla fine.
Chi potrebbe reggere senza aiuto divino? Chi potrebbe reggere senza che Dio non vivesse in lui? L'anima può pensare di essere scordata, può pensare che Dio abbia tolto da lei la sua faccia. In realtà è proprio nella sua passione che Dio si manifesta presente, operante divinamente e divinamente creatore, perché l'anima non potrebbe reggere a tanto peso, perché l'anima non potrebbe sostenere così grave destino.
Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? L'anima crede di essere sola contro tutto in un mondo nemico, non soltanto indifferente, ma ostile. Ma l'accanimento stesso del mondo contro questa anima non è forse una dimostrazione, il segno, anzi, che nella sua solitudine essa ha una forza che il mondo non riesce a sgominare, che l'anima nella sua solitudine ha una potenza contro la quale tutte le potenze del mondo non hanno potere?
Fino a quando? Dice l'anima. E l'anima deve saperlo, e la Chiesa deve saperlo. Il mistero di Dio che si fa presente nel mondo è il mistero della morte di croce e si fa presente in te, nella tua medesima morte. D'altra parte è questa la realtà della sofferenza umana; l'anima pur conoscendo il mistero non può non pregare per avere un sollievo in tanta disdetta, ché la sofferenza non sarebbe più sofferenza se l'anima pur mantenendo nell'intimo suo fondo la fede nell'elezione divina e nell'amore di Dio, non si sentisse sgomenta e smarrita, non si sentisse all'estremo delle sue forze, non dovesse patire in quello che soffre in una estrema agonia.
Fino a quando nell'anima mia proverò affanni... Ecco, ora l'orante non ha più il coraggio di volgersi a Dio, di gridare a Dio la sua sofferenza. Fino a quando nell'anima mia proverò affanni, tristezza nel cuore ogni momento? Che cosa è questa tristezza? Che cosa è questa dimenticanza di Dio? Andiamo più in fondo. Quale ragione ha questa sofferenza? Perché l'anima geme? Perché grida a un Dio che tace, a un Dio che non risponde? Finalmente lo dice; sembra che il salmista finora non abbia avuto nemmeno il coraggio di dirlo: Fino a quando su di me trionferà il nemico? Come la vita religiosa è un rapporto drammatico con Dio, così è anche un rapporto drammatico col maligno. Ma come Dio si fa presente nella vita dell'uomo soprattutto attraverso le persone che ce lo rappresentano, e ognuno di noi è per l'altro il Signore, così anche il maligno si fa presente ed opera, e combatte e perseguita e opprime i servi di Dio attraverso altri uomini. Certo Dio si rivela prima di tutto attraverso la creazione; la prima rivelazione di Dio è la creazione medesima, ma in un modo più intimo e più profondo Dio si rivela attraverso l'avvenimento: la storia di Israele, e finalmente, nel Cristo, nell'uomo Gesù.
Così il maligno si rivela ed opera attraverso la creazione: lo sconvolgimento degli elementi, la malattia, la morte; ma si rivela ancora di più negli avvenimenti terrestri, nella storia del mondo, storia di violenza, di oppressione, di morte; si rivela negli uomini stessi che ti combattono magari senza saperlo, ti perseguitano e operano la tua distruzione col sorriso sul labbro, senza rendersi conto del male che fanno. Forse questi uomini sono anch'essi servi di Dio, ma non sono così pienamente purificati da non poter essere anche al servizio del maligno. Dio ci ha comandato di amarci, ma quanto spesso il vivere insieme fra gli uomini è per gli uni e per gli altri motivo di pena, di sofferenza! Forse solo l'anima che fosse liberata da ogni residuo di gelosia, di invidia, di orgoglio, di sensualità, solo un'anima che fosse veramente e pienamente purificata potrebbe non essere mai per un'altra motivo di pena. Ma quante sono le anime così purificate?
La carità fraterna è sempre esercizio di pazienza, di dolcezza, di umiltà, perché dagli altri non si riceve tanta gioia, quanto riceviamo dolore. Il dolore del mondo, la sofferenza dell'uomo, ha la sua sorgente nella persecuzione. Non si parla nel Salmo di una persecuzione mossa alla Chiesa, ma di quella che è mossa contro la vita di un singolo uomo. Quanta parte vi ha nella pena di ognuno, nel dolore che è il tessuto dell'esistenza dell'uomo, l'incomprensione da parte degli altri, la durezza di cuore, l'egoismo che ci fa essere ingiusti verso i fratelli, ci disinteressa di loro, mentre avremmo magari responsabilità verso queste anime. Mentre ci dovremmo amare quaggiù nella vita presente, ed essere gli uni per gli altri motivo di aiuto e di gioia, siamo invece gli uni agli altri motivo di dolore, di sofferenza. Chiediamo al Signore che la nostra sofferenza sia santa, sia redentrice, che proprio attraverso il nostro dolore, il male degli altri venga purificato e distrutto, che proprio attraverso la nostra sofferenza tutta la colpa umana debba sciogliersi e non rimanere più.
Guarda, rispondimi, Signore mio Dio! alla sofferenza dell'anima, alla angoscia, all'agonia estrema in cui l'anima giace, Dio deve guardare: l'anima non chiede altro che questo, il Suo sguardo, la Sua parola. Il salmista chiedeva e in qualche modo esigeva che lo sguardo di Dio, la parola divina dovesse sollevare l'anima sua prima della morte. Per un cristiano questo intervento può essere rimandato: per gli Ebrei e che non speravano nell'immortalità dell'anima, Dio doveva intervenire in qualche modo avanti la morte; per noi Dio può intervenire anche dopo la morte, noi possiamo continuare nell'agonia sino alla fine. Anzi l'elezione divina fa sì che l'anima debba partecipare sino in fondo alla morte del Cristo. Nei suoi disegni divini Egli vuole che l'anima debba soffrire questa dimenticanza da parte di Dio, da parte degli uomini e da parte del mondo: persecuzione rovina fino alla morte. L'ora di Dio viene dopo. Ma pur nella persecuzione e nell'angoscia l'anima in Dio possiede anche oggi la pace. Conserva la luce ai miei occhi, perché non mi sorprenda il sonno della morte, perché il mio nemico non dica: «L'ho vinto!» La persecuzione, l'odio, tutta questa marea di male che sale e sembra sommergere l'uomo, tutta questa marea non ha capacità di sommergerlo, di sopraffarlo; l'anima, almeno nel suo grido, almeno nella sua disperazione che è divenuta preghiera, si erge al di sopra del male. Il nemico non la sopraffà. La vittoria ultima rimane di colui che soffre ed è perseguitato, di colui che ha preso sopra di sé il peso del mondo.
Non esultino i miei avversari quando vacillo. Egli non cadrà: ecco la sola cosa che l'anima ottiene, il segno di una protezione divina, in cui si manifesta la partecipazione che l'anima vive al mistero del Cristo, al mistero di un Dio che muore e nella sua morte vince il male del mondo. Il cristiano non cade: Nella tua misericordia ho confidato. È questo non cadere, è questo non è essere sopraffatto, la risposta divina alla preghiera dell'uomo. Dio non ci solleva dei nostri pesi, non elimina la sofferenza: l'unica vittoria è di non essere sconfitti, è rimanere vittime immolate sopra all'altare fino all'estremo, perché se fino all'estremo l'anima rimane nella preghiera, fino all'estremo il male del mondo per l'uomo si converte in amore, l'odio si converte in pazienza. Ed è questo il mistero più grande. Tutto il male del mondo che grava su uomo e passa attraverso il suo cuore, si converte attraverso il cuore del perseguitato, attraverso colui che agonizza sotto tanto peso, in un grido, in una implorazione di amore.
Gioisca il mio cuore nella tua salvezza. È una speranza ed è già una presenza: Dio vive nel suo cuore e il male non può sopraffarlo, non può trasformarlo; non trasforma l'oppresso nell'oppressore. Egli rimane la vittima.
Gioisca il mio cuore nella tua salvezza e canti al Signore, che mi ha beneficato. Il salmista di quali beni parla? Forse sperava davvero dopo essere spogliato dei suoi beni, di ottenere altri beni da Dio. Ma il cristiano non può aspettare altro bene che questo: Dio stesso! Ma Dio è un bene che nessuno vorrebbe, perché il possesso di Dio è uguale alla morte. Per questo nel possesso di Dio l'anima vive solo nella speranza il ringraziamento e la lode, mentre così drammatico e vivo continua il grido della angoscia presente: Fino a quando, Signore?
* * * * *
In questo Salmo brevissimo si ripete in pochi versi il contenuto della maggior parte delle lamentazioni individuali che sono così numerose nel Salterio.
Al primo lamento iniziale segue la confessione del proprio stato di desolazione, di tristezza, finalmente la preghiera al Signore, e, nella speranza dell'esaudimento, la lode Dio che ha salvato l'orante.
I Salmi di lamentazione hanno una gran parte nel Salterio, perché la condizione dell'uomo è questa, quaggiù: una condizione di pena, di sofferenza, di sgomento, e non vi è altra salvezza per l'uomo che il ricorso Dio.
Eppure la preghiera non sembra ascoltata giammai, perché continuamente si ripete. Perché l'uomo si svolge Dio se la tristezza continua, se la pena rimane la condizione dell'uomo che vive quaggiù sulla terra?
È vero che al termine di questi Salmi di lamentazione abitualmente vi è già l'inizio della lode e del ringraziamento Dio, ma noi possiamo pensare che, dopo poche parole che manifestano tutta l'ambascia dell'anima, subito intervenga la Onnipotenza divina a sollevare il misero dalla sua pena? La lode e già come uno sforzare Iddio a venire in soccorso? È l'espressione di una fede eroica che deve provocare l'intervento di Dio nella vita del povero? È una anticipazione profetica di quello che sarà domani la condizione dell'uomo che si sarà rivolto Dio?
Certo, questa rimane la condizione umana: una condizione di sofferenza, di umiliazione, di morte. Certo, questa è la esperienza comune dell'uomo: il sentirsi senza difesa in un mondo nemico; certo, questa è l'esperienza comune dell'uomo: il silenzio di Dio.
Dio è il tuo Salvatore, come era già il Salvatore di Israele; Dio è Colui che ti ama, eppure Egli ti abbandona alla pena, alla sofferenza, all'umiliazione: sembra abbandonarti ad ogni sconfitta. Dio non rivela più e il suo Volto a colui che tuttavia gli è fedele. Il silenzio di Dio! Quale tema di meditazione è per ogni anima religiosa!
La preghiera è un grido dell'uomo, un grido tuttavia che non riesce a vincere questo silenzio. L'uomo si dibatte vanamente: Dio tace. Eppure tu devi credere che Egli ti ama, eppure devi credere che egli è il tuo Salvatore; tutta la vita dell'uomo non è che questa fede eroica, l'abbandono in un Dio che sembra essere assente, in un Dio che sembra non interessarsi di te. Dio vivrà in te nell'alimentare questa tua fiducia, nel darti forza perché la tua preghiera salga fino a Lui: è nella tua preghiera che Egli vive, già nella tua preghiera è la risposta. L'uomo, assediato, premuto da ogni parte dei nemici visibili e invisibili, riconosce un alleato in Dio e a Lui si affida; premuto da ogni parte da nemici visibili invisibili, sfugge alla loro presa precisamente nel suo colloquio con Colui che è l'Eterno.
Questa è la vittoria dell'uomo: i mali del mondo lo sforzano ad uscire dal mondo per entrare in un colloquio con Dio. Colui con il quale entri in comunicazione non è l'uomo che chi è vicino, non sono le cose, ma al di fuori del mondo, al di là di ogni uomo, è Colui che è immortale. La sofferenza ci obbliga alla preghiera, e nella preghiera l'uomo già sfugge alla sofferenza perché sfugge a questo mondo per entrare in un colloquio con Dio; la sofferenza indubbiamente ci attanaglia, ma nella misura che la sofferenza ci induce alla preghiera, la preghiera stessa e già la liberazione, è già l'atto col quale l'anima sfugge alla prigionia del male per entrare in comunione con Dio.
Un altro tema del Salmo è la vita come combattimento. La vita dell'uomo non è soltanto pena, ma è lotta, oppressione da parte di violenti, combattimento ineguale, ingiusto da parte dei malvagi. Non soltanto siamo in un mondo che ci ignora, siamo in un mondo che ci è nemico. Abbiamo questa percezione? Tutto ti può essere nemico, perché vi è un nemico che usa di tutto per andare contro di te. Ci rendiamo conto che la vita dell'uomo è un combattimento di proporzioni gigantesche, un combattimento che ha un carattere cosmico? Il Salmista parla di un nemico: Fino a quando su di me trionferà il nemico? "Il nemico": non si tratta di tanti nemici, ma di uno solo, ma questo uno vale per tutti. Il nemico è colui che è "il principe di questo mondo", e tutte quante le cose ubbidiscono alla sua volontà di nuocerti, di attentare alla tua vita.
Come l'uomo non potrebbe sentirsi smarrito? Egli vede, egli sente che la sua vita è in balia di una potenza stragrande che altro non vuole se non l'oppressione dell'uomo, la sua sconfitta, la sua morte. Tale è la potenza di questo nemico che umanamente non vi è scampo per te.
Fino a quando su di me trionferà il nemico? Dunque, egli ha già vinto? Si noti il carattere drammatico di questo linguaggio, che sdegna il chiaroscuro e dà l'impressione di una forza nemica soverchiante. L'orante già soffre la sua umiliazione, l'orante già è attanagliato dallo sgomento della morte.
Poi, subito dopo, in un passaggio felicissimo, quello che l'anima spera già lo possiede, e nella sua salvezza l'anima già celebra il trionfo di Dio sui suoi nemici. Dalla lamentazione così l'orante si innalza all'inno, alla lode al Signore.
Guarda, rispondimi, Signore mio Dio... L'accavallarsi delle parole che si ripetono dice la concitazione dell'anima che non trova altro rifugio che nel Signore. Conserva la luce ai miei occhi: la tenebra è segno di morte. E l'anima chiede una speranza: perché il mio nemico non dica: «L'ho vinto!» Dunque non si era esaltato ancora sopra di lui, ma era tanta la potenza dell'odio che l'orante aveva come sperimentato già la sua morte; ora invece, rivolgendosi a Dio, la morte si allontana, e il nemico, che già cantava vittoria, ora non la canta più.
In queste parole si innalza il canto di tutta la Chiesa, la preghiera supplice di tutta quanta l'umanità che sfugge, nel combattimento tremendo, alla sua morte. Perché il mio nemico non dica: «L'ho vinto!» Così l'umanità, nel grido gioioso della sua speranza, esce dalle prese dell'avversario, sfugge alla sua prigionia.
Il silenzio di Dio e il combattimento ineguale sembravano lasciare l'uomo solo nella sua miseria è, solo nella sua impossibilità di una salvezza. Dio tace e tu vai contro di te un nemico estremamente forte che vuole la tua fine. Come l'uomo dunque può esprimere una salvezza? In nessun altro modo, fintanto che vive quaggiù, se non nell'atto della speranza, onde egli getta un ponte dall'abisso della miseria e della sofferenza a Dio.
E l'anima vive la salvezza nella sua stessa preghiera. Tutto ci sforza alla preghiera, e la preghiera e già l'inizio della salvezza, la sicurezza della vittoria. Non aspettarsi oggi di più: il fatto che tu preghi, il fatto che nulla può imprigionare il tuo spirito, ma anzi il fatto che il combattimento ti sforza a gridare la tua angoscia Dio, proprio questo è già per te espressione di vittoria, e già per te esperienza di salvezza: anche se Dio tace, anche se Dio sembra non volgere il suo Volto verso di te, effettivamente già la tua vita si illumina in una fede eroica, e sfuggi alla presa del mondo per implorare l'Eterno, per abbandonarti a Dio.

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