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giovedì 17 novembre 2011

Don Zeno Saltini (1900-1981) e la comunità di Nomadelfia

Nomadelfia è una comunità dove tutti i beni sono in comune, non circola denaro, non esiste proprietà privata, le famiglie sono disponibili ad accogliere figli in affido. Tutti lavorano ma nessuno è pagato, e non esiste disoccupazione. Chi sbaglia è perdonato, purché ammetta il suo errore e si penta.

Don Zeno nasce a Fossoli di Carpi il 30 agosto del 1900 da una famiglia patriarcale d’agricoltori benestanti. È il nono di dodici figli, tre dei quali, oltre a lui, sceglieranno la strada della consacrazione. Attorno ai quattordici Zeno decide di non frequentare più la scuola, ritenendo inutile l’insegnamento che vi s’impartisce. Va a lavorare nei poderi di famiglia, rendendosi conto della dura realtà dei braccianti. Ma scoprirà più tardi l’importanza della cultura: a vent’anni, mentre si trova in servizio di leva a Firenze presso il III Telegrafisti, ha una discussione con un commilitone anarchico. Questo afferma che Cristo ela Chiesasono d’ostacolo al progresso umano, Zeno sostiene il contrario, pur riconoscendo che i cristiani sono in gran parte incoerenti. Ma l’anarchico è istruito e lui no, tra i fischi degli altri soldati, Zeno si ritira e prende una decisione: “Gli risponderò con la mia vita. Cambio civiltà cominciando da me stesso. Per tutta la vita non voglio più essere né servo né padrone”.
Decide di studiare legge e teologia, mentre continua a dedicarsi ad attività d’apostolato ed al recupero di ragazzi sbandati. Si laurea in legge presso l’Università Cattolica di Milano. Aveva intenzione di difendere come avvocato coloro che non potevano pagarsi un difensore; ora però si rende conto che la sua missione è di prevenire che cadano in disgrazia: decide di farsi sacerdote. Il 6 gennaio 1931 celebra la sua prima Messa nel duomo di Carpi e all’altare prende come figlio un ragazzo di 17 anni appena uscito dal carcere: Danilo detto familiarmente Barile. Mandato come vice parroco a San Giacomo Roncole (Modena), comincia a pubblicare un giornalino dal titolo indicativo, Piccoli Apostoli, e che più tardi darà il nome all’opera da cui si svilupperà Nomadelfia. In un palazzo antistante la chiesa, dove sono ospitati i “figli”, don Zeno ricava un cinema-teatro che attrae gente anche dai paesi vicini, per ascoltare i discorsi di quel prete che si distingue dagli altri.
I “Piccoli Apostoli” hanno per ora un padre, ma non una madre. Ed ecco che, nell’estate del1941, in piena guerra, a don Zeno si presenta Irene, una ragazza della parrocchia, dicendosi disposta a fare da mamma agli ospiti più piccini. Sarà la prima “mamma di vocazione”. Irene deve aspettare d’essere maggiorenne per realizzare la sua vocazione, ma prima del suono della campana di mezzogiorno del 21 luglio, secondo “il segno” chiesto da don Zeno al Signore, eccola pronta al compito. Sul suo esempio arrivano Norina, Zaira, Agnese, Enrica, Sirte, Elis ecc. Nella notte tra il 2 e il 3 febbraio 1943, anche sette preti delle diocesi di Modena e di Carpi decidono di unirsi a don Zeno, formando così l’Unione dei sacerdoti Piccoli Apostoli.
Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 i tedeschi occupano l’Italia. Don Zeno, che aveva preso più volte posizione contro il fascismo, la guerra e le leggi razziali, parte per il Sud. Alcuni figli lo seguono per sfuggire alle deportazioni in Germania.
A S. Giacomo l’Opera è duramente perseguitata e si tenta di disperderla.
Diversi giovani Piccoli Apostoli entrano nelle formazioni partigiane, mentre alcuni sacerdoti contribuiscono all’organizzazione della resistenza e aiutano ebrei e perseguitati politici a raggiungerela Svizzera con documenti falsi. Sette Piccoli Apostoli perdono la vita per la riconquista della libertà.
Dopo la fine della guerra, nel 1947, i Piccoli Apostoli occupano l’ex campo di concentramento di Fossoli, vicino Carpi, per costruire la loro nuova città. Abbattono muraglie e reticolati, mentre accanto alle famiglie di mamme di vocazione si formano le prime famiglie di sposi, che chiedono a don Zeno di poter accogliere i figli abbandonati, decisi ad amarli alla pari di quelli che nasceranno dal loro matrimonio.
Il 14 febbraio 1948 approvano il testo di una Costituzione che sarà firmata sull’altare. L’Opera Piccoli Apostoli diventa così Nomadelfia, che significa dal greco: “Dove la fraternità è legge”.
Nel 1950 Nomadelfia propone al popolo un movimento politico chiamato “Movimento della Fraternità Umana”, per abolire ogni forma di sfruttamento e per promuovere una democrazia diretta. Ma l’ostilità dei politici al governo e d’alcuni ambienti ecclesiastici blocca l’iniziativa. I nomadelfi sono 1150, dei quali 800 figli accolti e 150 ospiti senza casa e senza lavoro. La situazione economica diventa sempre più pesante. Sfruttando questo pretesto si tenta di sciogliere Nomadelfia.
Il 5 febbraio 1952 il Sant’Ufficio ordina a don Zeno di lasciare Nomadelfia. Don Zeno ubbidisce, subirà un processo per truffa e sarà assolto. Costretti ad abbandonare Fossoli, i nomadelfi si rifugiano a Grosseto, su una tenuta di diverse centinaia d’ettari da bonificare, donata dalla contessa Maria Giovanna Albertoni Pirelli, dove vivono in gran parte sotto le tende. Pur lontano, don Zeno cerca di provvedere alle loro necessità, e sempre più spesso, non dimentichiamo che è avvocato, deve difenderne in tribunale alcuni che, strappati alle famiglie di Nomadelfia, sono ricaduti nella malavita.
Chiede perciò al Papa di poter rinunciare temporaneamente all’esercizio del sacerdozio per tornare alla guida dei suoi figli. Nel 1953 Pio XII gli concede la laicizzazione “pro gratia”. Depone la veste, torna fra i suoi figli. I nomadelfi sono rimasti circa 400, la tenuta di Grosseto si è salvata dal patatrac finanziario perché era ancora intestata alla contessa Albertoni Pirelli.
Nel 1954 don Zeno crea i “gruppi familiari”. Nel 1961 i nomadelfi si danno una nuova Costituzione come associazione civile, e don Zeno chiede alla Santa Sede di riprendere l’esercizio del sacerdozio. Nomadelfia è eretta in parrocchia e don Zeno nominato parroco.
Il 22 gennaio 1962 celebra la sua “seconda prima messa”. Nel 1968 i nomadelfi ottengono dal Ministero della Pubblica Istruzione di educare i figli sotto la loro responsabilità, nella propria scuola interna.
Il 12 agosto 1980 i nomadelfi presentano a Giovanni Paolo II, nella villa di Castelgandolfo, una “Serata”. E’ presente tutta la popolazione di Nomadelfia. Il Papa dice tra l’altro: “Se siamo vocati ad essere figli di Dio e tra noi fratelli, allora la regola che si chiama Nomadelfia è un preavviso e un preannuncio di questo mondo futuro dove siamo chiamati tutti”.

Pochi mesi dopo don Zeno e colpito da infarto, muore in Nomadelfia il 15 gennaio 1981, mentre il Papa riceve una delegazione di nomadelfi con i quali prega per lui e invia la sua benedizione.
Qual è l’utopia di Nomadelfia? Tutti i beni sono in comune, non circola denaro, non esiste proprietà privata, le famiglie sono disponibili ad accogliere figli in affido. Qui tutti lavorano ma nessuno è pagato. Chi sbaglia è perdonato, purché ammetta il suo errore e si penta.

Ogni giorno si dedica un’ora alla riflessione. La regola è ricavata dalle prime comunità cristiane di cui parlano gli Atti degli Apostoli. Per lo Stato italiano è un’associazione civile, una fondazione, organizzata sotto forma di cooperativa di lavoro. Perla Chiesaè una parrocchia comunitaria e un’associazione privata tra fedeli, ma non chiusa in se stessa, perché si presenta come fermento in mezzo alla società che la circonda.

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