Benvenuto: PAX et BONUM

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mercoledì 23 novembre 2011

PAROLA DELL'UOMO e PAROLA DI DIO

Parola dell'uomo e Parola di Dio

Un approfondimento del Salterio è necessario, altrimenti non potremo vivere mai pienamente la nostra vita religiosa, dal momento che tutta è fondamentalmente dominata e diretta dalla preghiera liturgica, e la preghiera liturgica ha nei salmi la sua norma fondamentale. Così la vita di ogni uomo deve trovare in questa parola la sua norma oggettiva, sapiente ed efficace, per una testimonianza che attraverso la Chiesa egli deve dare al mondo.
Tanto più necessario è intraprendere la meditazione e lo studio del Salterio in quanto che, mentre la Chiesa ce lo propone come guida, ce lo dà a norma della nostra preghiera: di fatto questo libro è estremamente difficile. Forse è il libro più difficile della sacra Scrittura ed è insieme il più usato e il più necessario. Nemmeno i Vangeli sono stati letti nella Chiesa tanto quanto è stato letto il Salterio. Fino a poco fa il Salterio doveva esser recitato integralmente da tutti i sacerdoti e da tutte le anime consacrate negli Ordini monastici, ogni settimana, mentre non vi è nessun Ordine religioso nella Chiesa, che io sappia, che abbia come obbligo di leggere anche un solo Vangelo tutt’intero ogni settimana.
San Serafino di Sarov leggeva ogni giorno un Vangelo e in tutta la settimana tutto il Nuovo Testamento. Ma non c’è alcuna regola — nella Chiesa ortodossa o nella Chiesa cattolica —, che comandi di leggere integralmente ogni settimana il Vangelo. Invece non solo i certosini, ma tutti i preti sono stati obbligati finora a leggere ogni settimana il Salterio.
È un controsenso che questo libro debba esser letto quando rimane un libro chiuso e incomprensibile in massima parte o, anche se comprensibile, del tutto estraneo alla nostra vita profonda. Anche quando si è tradotto il Salterio in un latino più facile e senza errori, anche quando il Salterio viene recitato nelle lingue nazionali, non per questo diviene più facile; anzi allora si avverte di più ancora la differenza tra la nostra esperienza e quello che suggeriscono quelle parole, si riconosce ancora più quanto queste parole siano estranee alla nostra vita: queste parole non sembrano esprimere la nostra vita profonda. Quanto più dunque si vorrà un rinnovamento liturgico, tanto più s’imporrà uno studio profondo, una iniziazione spirituale, reale, a questo libro; altrimenti tutto sarà vano e al formalismo di qualche anno fa, si sostituirà un altro formalismo liturgico, un formalismo anche meno giustificato perché prima almeno si poteva dire che molti non capivano e per questo dovevano cercare di pregare indipendentemente dalle parole dei salmi. Ma ora si legge il Salterio in una lingua viva e ugualmente non si vivono le parole e il formalismo diverrà estremamente più grave e la opacità della Chiesa, nei confronti del mondo, più irrimediabile ancora. Gli uomini si convinceranno sempre più che il cristianesimo e la Chiesa sono la reliquia di un passato che invano si vuol risuscitare. Le parole della liturgia non sono che una menzogna perché non esprimono una vita. Nessuno veramente le comprende, nessuno le fa sue. Già questo si avverte nella liturgia della Parola nella celebrazione della Messa; certe epistole, certi Vangeli per buona parte dei laici, ma anche per religiosi e sacerdoti, rimangono veramente ostici. Parlano di un mondo che non è più il nostro mondo, sono parole che non sono più le nostre parole. Chi sono Agar e Sara per la maggior parte dei nostri buoni cristiani? ma chi sono anche per te? che cosa vogliono dire le parole di Paolo o perfino a volte le parole di nostro Signore, per molti cristiani?
A una retorica si sostituisce un’altra retorica. Noi che vogliamo rivelare Dio, noi che dobbiamo proclamarne l’annuncio, siamo come dei muti, uomini che non conoscono lingua degli uomini di oggi. Si proclama il messaggio in un linguaggio che evidentemente è dissueto, appare estraneo alle preoccupazioni, alle ansietà, ai sentimenti più profondi, alle esigenze più vive del tempo. Ecco perché anche i sacerdoti — non voglio dire qualche cosa di più — leggono più volentieri il giornale, si trovano più facilmente a loro agio con il giornale che con il Salterio e perfino con il Vangelo. Il Vangelo rimane un libro che si può prendere e meditare; ma, e il Salterio? eppure esso è un libro che si deve leggere ogni giorno.
Il problema è di una gravità estrema, perché mai come oggi la rottura tra vita sacrale e vita reale appare più evidente. È chiaro che quando sono stati composti i salmi furono veramente la parola dell’uomo, la parola che ne esprimeva tutte le ansie e le aspirazioni, tutti i dolori, le speranze, tutti i sentimenti: la parola dei salmi rivelava l’anima profonda di un popolo, era l’espressione genuina di tutta la vita dell’uomo e della nazione d’Israele.
Oggi dovrebbe essere altrettanto: il rinnovamento liturgico implica che questa parola divenga di nuovo la parola della Comunità ecclesiale, la mia stessa parola; non parola soltanto di Dio, ma parola anche dell’uomo, dal momento che se l’uomo vive essenzialmente il suo rapporto con Dio, in rapporto anche con tutto l’universo, è proprio il Salterio che deve esprimere questa sua vita profonda. La preghiera difatti non è, non deve essere un atto estraneo alla nostra vera vita, deve,piuttosto divenire l’atto che riassume tutta la vita; deve essere l’atto nel quale tutto l’essere umano è impegnato e si rivela, l'atto che realizza tutto l'essere dell'uomo, l'essere e la vocazione dell'umanità.
O Dio è un giocattolo, un soprammobile — noi molto spesso facciamo questo di Dio — o Dio è realmente colui al quale converge tutta la storia degli uomini, tutta la vita del mondo e, prima ancora, la nostra medesima vita. Allora, nell’atto della preghiera, l’uomo veramente si deve realizzare, e la preghiera dell’uomo non deve essere più un atto ai margini della sua vera vita, ma l’atto che deve riassumerla ed esprimerla totalmente, fino nelle sue abissali profondità, nella sua massima dilatazione. Se il Salterio non ritorna ad essere il libro più vero dell’uomo, più realmente suo, dire i salmi sarà soltanto riconoscere che noi siamo estranei al mondo di Dio, sarà soltanto riconoscere che la Chiesa intera è estranea al mondo di Dio e al mondo dell’uomo.
Queste parole sono dure, ma sono meno dure di quello che dovrebbero essere. Proprio per la serietà della nostra vocazione umana e cristiana s’impone che ci rifiutiamo a una pia retorica che offende noi stessi prima ancora di Dio.
La preghiera dev’essere tutto per noi, e siccome la preghiera cristiana ha una sua norma oggettiva nel Pater e nei salmi, noi dobbiamo vedere come i salmi esprimono veramente tutta la nostra vita, rivelano la vita di Dio e il suo rapporto con l’uomo. Dobbiamo realmente vivere questa parola come la nostra parola più profonda, più vera. Così come dobbiamo ascoltare, attraverso questa parola, la parola che Dio, giorno per giorno, personalmente, ci rivolge.
A tale impegno ci obbliga la liturgia della Chiesa: a fare del Salterio veramente il “nostro” libro. Un impegno che non possiamo rimandare perché altrimenti la preghiera liturgica diviene soltanto un peso e non un’ala che ci solleva a Dio; diviene soltanto una parola falsa, una menzogna, con la quale noi camuffiamo la nostra vera vita. Ci presentiamo a Dio sotto le vesti di un attore, non nell'umiltà reale della nostra condizione umana, non nei sentimenti veri di una nostra umanità sulla quale grava il peccato,la sofferenza di una umanità che, d’altra parte, ha conosciuto Dio e può anche, dimenticando la propria condizione di pena, volgersi a lui nel canto, nell’esultanza, nella lode.
Se volete che io sintetizzi quello che ho detto finora in una parola semplice ma vera, vorrei dire: finché il Salterio non ritorna ad essere il “nostro” libro, la “nostra” parola, la nostra preghiera, denuncia solo l’insincerità della nostra vita, accusa soltanto la nostra menzogna.
Prima di tutto noi dovremmo chiederci perché questo libro è stato scelto dalla Chiesa come l’espressione comune ed universale della sua preghiera. È un mistero che la Chiesa abbia voluto scegliere questo libro per noi: un mistero incomprensibile finché non abbiamo considerato attentamente le ragioni della sua scelta.
Perché la Chiesa ha voluto che noi usassimo il Salterio? Ecco, prima di tutto, la risposta che vi posso dare, una risposta bella e grande è questa: perché non vi è altro libro nella sacra Scrittura che sia essenzialmente e direttamente un libro di preghiera.
Ora la Chiesa sa bene, più di qualsiasi di noi, che la nostra vita non è finalmente insegnamento e dottrina — altrimenti il nostro libro poteva essere più coerentemente san Paolo o il Vangelo — la nostra vita è essenzialmente preghiera. La nostra vita più profonda non è soltanto un ascoltare un insegnamento, non è neppure un’obbedienza a una legge, è soprattutto vivere un dramma, un “rapporto”, il rapporto di Dio con noi, ma anche il rapporto di noi con lui. La vera parola dell’uomo è una parola rivolta a qualcuno.
Ecco quello che distingue le religioni cosiddette del libro. Le religioni del libro sono tre: cristianesimo, ebraismo, islamismo. L'Islam non vive in fondo la sua vita religiosa come rapporto, la vive come insegnamento; e la vita religiosa dell’Islam è obbedienza a prescrizioni giuridiche, più che essere preghiera. E tanto meno la vita è preghiera per il buddismo o per l’induismo. Se tuttavia l’uomo non vive un dialogo, rimane chiuso in sé e Dio stesso gli rimane estraneo come gli sono estranei gli uomini e il mondo.
Per questo le religioni, al di fuori del cristianesimo e dell’ebraismo, terminano in un certo monismo mistico: il rapporto è escluso. Invece la vita dell’uomo è essenzialmente dialogo, e non potrebbe essere altro, almeno al termine, che dialogo con Dio. Tu sei stato creato per vivere dinanzi al volto di Dio.
Il Vangelo ti fa vivere, certo, dinanzi al volto del Padre, eppure potrebbe anche trasformarsi per te soltanto in un libro d’insegnamento morale o teologico. Dio potrebbe divenire per te soltanto un mistero che tu devi approfondire; il Vangelo un messaggio di salvezza. Non stabilisce necessariamente un vero rapporto di amore. La lettura del Vangelo non realizza un colloquio anche se lo suggerisce, lo provoca, lo alimenta. Allora comincia la tua vera vita quando, dopo aver letto e ascoltato, tu stesso rispondi, perché nel Vangelo Dio veramente ti parla.
Il Salterio invece è la tua stessa parola rivolta a Dio, perché è preghiera; non è un libro che tu leggi, nemmeno più soltanto una parola che ascolti, ma una parola che tu stesso dici. Questa è la differenza del Salterio, nei confronti degli altri libri della Scrittura. Ascolti Uno che ti parla e tu stesso parli a Uno che ascolta. Il libro del Salterio, a differenza di ogni altro libro anche della sacra Scrittura, non ti prepara alla preghiera e non è lettura di insegnamento che segue alla preghiera; è la tua preghiera stessa e, perché è la tua preghiera, è l’espressione autentica della tua medesima vita, dal momento che la vita dell’uomo è rapporto e il rapporto supremo dell’uomo è quello con Dio. L’essere umano è coniugale; “essere” per l’uomo vuol dire “essere con”; vivere, per l'uomo, vuol dire realizzare un rapporto con l’altro. Non è, certo, una cosa nuova: anche gli scolastici dicevano che l'uomo non può avere un idea se non riattraverso il rapporto con le cose. Vivere, per l’uomo, è entrare in rapporto con l’universo, con gli uomini, con Dio.
Il rifiuto del rapporto implica un'idolatria di se stessi, implica che l'uomo faccia di se stesso l'assoluto. Ma non vi è peggiore condanna all’orgoglio dell’uomo che si chiude in se stesso e si proclama lui medesimo dio.
Nel rifiuto dell’amore, nel rifiuto del rapporto con l’altro, l’uomo, che vuole stabilire una sua divinità, non fa che darsi da se stesso la morte.
Dal momento che essere per l’uomo è essere con, dal momento che vivere, per l’uomo è vivere un rapporto d’amore: il rifiutare l’amore, il chiudersi in se stesso, il far di se stesso dio, è per l’uomo morire.
Ma se il rifiuto al colloquio è la morte dell’uomo — l’inferno — il colloquio dell’uomo con l’universo e anche con gli esseri umani, non realizza mai fino in fondo l'uomo. Può sopportare forse questo rapporto una decisione assoluta in cui l’uomo tutto si impegni per l’eternità? L’altro essere, finché è una creatura, ti disperde, non ti raccoglie.
Per richiamare il linguaggio comune degli autori spirituali, ecco quello che dice Giovanni della Croce a proposito degli “appetiti”, usando il linguaggio degli scolastici, cioè del rapporto che l’uomo stabilisce con le creature. “lo stancano”, dice san Giovanni della Croce. L’uomo di fatto, quanto più moltiplica i suoi rapporti con gli uomini tanto più si stanca e si perde; si disperde, si moltiplica, non si raccoglie, non vive. L’unico Essere con il quale l’uomo può stabilire una decisioni assoluta, l’Unico che la sopporta è Dio. L’unico rapporto che veramente fonda l’uomo nella realtà ultima e lo stabilisce nella sua perfezione, è Dio.
Pertanto “vivere” per l’uomo è essenzialmente pregare e mai l’uomo vivrà più profondamente, come in una preghiera che lo ordini interamente a Dio. L’uomo deve essere, ed “è”, parola rivolta a Dio.
Il Salterio ci aiuta ad essere uomini. Il Salterio è veramente lo strumento voluto da Dio perché l’uomo, anzi l’umanità intera, realizzi la sua vocazione, in una parola di preghiera che è anche parola ispirata. potrà mai dire nulla di più grande e di più vero. Il Vangelo ci è necessario per capire più profondamente il Salterio, ma il Salterio rimane poi, col Pater noster, la parola dell’uomo, la parola che l’uomo, realizzando se stesso, rivolge a Dio; è la parola che lo realizza, lo definisce e lo esprime.
Dal momento che l’uomo è rapporto, in questa parola l’uomo si definisce, dice se stesso, nel tempo e per l’eternità.
Che cos’è il Figlio di Dio? È la Parola. E ogni “figlio di Dio”, ogni cristiano è la parola che avrà detto, la parola che avrà realizzato in quell’incontro d’amore che egli avrà stabilito quaggiù sulla terra, col suo Padre celeste.
È certo che l’ultima parola — e noi questa parola la diciamo anche più del Salterio — è il Pater noster, che proprio per questo è veramente l’espressione suprema della vita degli uomini, ma per vivere pienamente il Pater gli uomini hanno bisogno del Salterio. Al Pater tende il Salterio e nel Pater trova la sua più autentica sintesi questo libro, così come il Pater noster si riassume nell’invocazione iniziale Abba, Pater, come scrive san Paolo (Rom 8, 15). Ma l’invocazione semplice e assoluta a Dio come Padre è la vita del Cielo, il Pater noster è l’espressione di una vita cristiana già matura, il Salterio è il “vademecum” di un’anima che, attraverso la preghiera, realizza il suo cammino di perfezione. Così il cammino dell’uomo si realizza nella preghiera attraverso una semplificazione progressiva della parola.
Mi sembra estremamente significativo il fatto che uno degli esegeti cattolici viventi abbia intrapreso il commento del Salterio sulla falsariga del PaterPater. Nel libro «Israele guarda il suo Dio» di Beaucamp - De Relles, i salmi sono commentati sulla scia del Pater noster, cioè sono meditazioni sul Pater in un commento ai salmi. Così i salmi non sono per l’autore che una preparazione e insieme una parafrasi che ci danno un’interpretazione più ampia e distesa di quella che è la preghiera che ci ha dato Gesù. Il Pater, d’altra parte, è la vita di tutta l’umanità, la vita di tutto l’universo che nel Figlio di Dio si volge al Padre. Con queste parole gli uomini in Cristo vivono la loro vita come essenziale rapporto al Padre in una preghiera che, da una parte, riconosce l’unione che gli uomini hanno col Figlio e, dall’altra, definisce anche la differenza che li distingue da Lui, Figlio unigenito di Dio.
Il Salterio come è norma di preghiera così è anche norma di vita e ci fa divenire uomini e cristiani, perché è attraverso la preghiera dei salmi che possiamo giungere a far nostra veramente la preghiera del Pater. Se il Salterio, fino ad ora, ci ha detto ben poco vuol dire che siamo ancora dei bambini. Via via che impareremo e questa parola diverrà la nostra, noi cresceremo. Il progresso nella vita spirituale sarà pari alla iniziazione, al progresso che noi faremo in una penetrazione in questo mondo di preghiera, a una assimilazione del suo contenuto dottrinale, alla sua realizzazione psicologica.
Dobbiamo studiare questo libro per renderci conto di quello che dice, che realmente esprime. Allora, quanto più comprenderemo questo libro tanto più capiremo che questo libro dice noi stessi. Non rivela soltanto Dio, ma dice l’uomo; non dice l’uomo in generale, rivela ogni uomo; non è soltanto Israele che si esprime in queste parole, ma la Chiesa, il cristiano. Tanto più dirà me stesso quanto più io sarò veramente, realizzerò cioè la mia vocazione umana e cristiana, quanto più io realizzerò pienamente quello che divo divenire.
Allora io potrò dire l’Ufficio e l’Ufficio diverrà per me l'atto che riassume davvero tutta la mia vita, l'atto che esprimerà nel modo più profondo e più vero le mie ansie e le mie speranze, la mia gioia e la mia sofferenza, dirà tutta la mia vita a Dio. Dirà la vita di tutto l’universo e la vita più profonda di ciascuno; la esprimerà precisamente in un colloquio d’amore, in una preghiera al Padre che, fatta nel nome del Figlio suo, sarà anche divinamente efficace. Cosicché proprio attraverso la preghiera liturgica l’umanità vivrà una certa imitazione di quella che è la vita stessa di Dio: il Padre che si comunica al Figlio e il Figlio che eternamente ritorna al Padre suo. Dio prima ci dice questa parola e in questa ci promette e dona se stesso, perché poi questa parola, divenuta la nostra, a lui ritorni.
In questo dire di Dio e in questo ascoltare dell’uomo, Dio si dona, ma anche l’uomo che poi parla si dona a Dio. Così, in questa stessa parola, Dio si comunica all’uomo e l’uomo si comunica a Dio, nell’unità di un medesimo amore.

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