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mercoledì 23 novembre 2011

Il mistero della parola

Il mistero della parola

Che cos'è la parola? In fondo tutte le meditazioni precedenti si può anche dire che siano una certa risposta a questa domanda. Si è detto che la parola per sé è la rivelazione dell'essere. Lo spirito è come una monade chiusa: nella parola si esprime, nella parola si rivela lo spirito. Il mistero della parola è uno dei misteri più grandi della creazione. Attraverso la parola si congiunge in un modo esistenziale, vivo, il mondo spirituale al mondo fisico. Certo, noi siamo già spirito e carne in una sola natura; tuttavia se lo spirito agisce attraverso il corpo, vive attraverso il corpo, è la parola che manifesta soprattutto questa vita, ne esprime fino in fondo l'efficacia, rivela anzi l’unità nell'uomo, l’uni­tà del mondo fisico col mondo dello spirito. Quando si dice ‘parola’ non si intende soltanto il suono della voce, ma qualsiasi segno che lo spirito assume per trasparire attra­verso il mondo fisico, attraverso il corpo. Può essere lo sguardo, può essere la mano, può essere l’atteggiamento, il corpo medesimo, ma nulla di più rivela lo spirito, della parola. Proprio per questo noi potremmo anche domandarci quale sia l'arte che più decisamente e pienamente riveli il mondo umano. L’arte è di per sé una rivelazione dell’uo­mo attraverso dei segni e nulla forse rivela di più l’uomo della poesia. Le altre arti, più o meno, mancano di quello che la parola più essenzialmente esprime. Certo, anche la musica implica un disegno, una intenzionalità, rivela un mondo spirituale. Non certo tuttavia come la parola; la pa­rola è più propria a esprimere direttamente il mondo dell’uomo. È vero che forse è l’arte più difficile, ma è anche l’arte più universale. Ogni uomo si comunica all’altro so­prattutto mediante la parola. Non vi è comunicazione da uomo a uomo che non trovi nella parola il suo mezzo più efficace, più naturale e universale. La parola è il mezzo na­turale per cui uno comunica all’altro il suo proprio mondo interiore, la sua medesima vita, il mezzo onde in qualche modo l’uomo si dona, si lascia possedere. E che cos’è la parola nella Sacra Scrittura, nel libro dei salmi? Precisamen­te il mezzo onde l’uomo si comunica a Dio. Dio si dà all’uomo nella parola. Certo: Dio ha rivelato se stesso attra­verso la creazione visibile e le cose stesse sono parola che ‘narra’, secondo i salmi, la gloria di Dio; ma la rivelazione diviene perfetta solo quando Dio chiama Abramo.
Il passaggio dalla rivelazione cosmica alla rivelazione pro­fetica è nel passaggio da una rivelazione che si compie at­traverso le cose a una rivelazione che si realizza attraverso ‘la parola’. Dio ha scelto la parola, Egli ha parlato: la parola dice una intenzionalità, è rivolta veramente a qualcuno. C'è in essa un’intenzionalità, un volgersi verso una persona, un comunicare tutto l’essere nella sua pienezza: sentimen­to, intelligenza, volere, tutto la parola esprime e tutto, per sé, è la parola. ‘Dabar’ in ebraico vuol dire precisamente questo: vuol dire volontà, vuol dire azione: è tutto, perché tutto veramente è la parola. Persino nel rapporto uma­no, quando due cominciano a volersi bene, si dice che ‘si parlano’, perché è questo il mezzo primo. Se un rapporto umano non cominciasse di qui, l’amore sarebbe un fatto puramente animale, non umano. Occorre che cominci con la parola, anche se poi terminerà nel silenzio, quel silenzio che esprime l’unità conseguita. Così tra l’uomo e Dio il rapporto inizia nella parola e, quando il rapporto è per­fetto, termina nel puro silenzio dell’unità. Nell’attesa della rivelazione suprema e del compimento del disegno ultimo di Dio, il silenzio subentra alla parola. Ma non è più un silenzio vuoto: è il silenzio che suppone uno scambio vi­cendevole, il dono vicendevole dell’uno all’altro, dono che realizza l’unità. Io sono te. A questo punto è facile dire che cosa sono i salmi. Nella loro parola Dio si dona alla creazione, all’uomo, ma nella loro parola anche la creazione, attraverso l’uomo, tutta si ordina e si dona a Dio. La parola che discende dall’alto ci comunica non soltanto una divina volontà, ma la forza stessa di compierla; non soltanto ci promette, ma anche realizza le promesse divine. Per questo la parola di Dio non è, come la parola dell'uomo, semplicemente dichiarativa, è una parola creatrice. E se la parola di Dio è legge, porta però con sé anche la forza di una gra­zia che te la fa adempiere; se la parola di Dio è promessa, porta anche con sé la forza del suo adempimento futuro. Nell’Antico Testamento i profeti non annunciano le cose che verranno, ma le cose verranno perché essi le annunciano.
Detta una parola, questa parola ha una sua forza che tu non puoi arrestare più, e la forza è quella della sua realiz­zazione. Se Dio nel dire le cose dipendesse dalle cose me­desime, non sarebbe più Dio, Egli che è l’assoluto, Egli dice e le cose sono. Egli dice che Israele otterrà la terra e la ter­ra diviene retaggio d’Israele. Dio dice che Israele sarà libe­rato dai suoi nemici e la libertà dai nemici si realizzerà, perché Dio lo ha detto. Chi potrebbe arrestare l’onnipoten­za di questa parola creatrice? La parola di Dio, se comuni­ca Dio, comunica precisamente la sua forza, la sua volontà, ed è una volontà onnipotente; comunica il suo amore e Dio realmente si dona.
Attraverso i salmi l’uomo accoglie Dio, lo riceve. Lo ri­ceve come promessa che trova il suo compimento nell’uomo, come profezia che si adempirà nella sua vita. Questa parola non è più estranea all’uomo: detta all’uomo, si com­pirà in lui. Non è la narrazione di un fatto che non lo ri­guarda.
Non abbiamo allora da fare nulla? Sì, abbiamo da ascol­tarla. È quello che ha fatto la Vergine, che ha accolto la parola dell’angelo e si è abbandonata alla sua forza. Se Egli ti parla, tu devi stare in ascolto. È una bella impertinenza chiudere gli orecchi a uno che ti parla, e l’impertinenza diviene molto più grave quando è Dio che si volge a te per parlarti e tu rifiuti di accogliere quella parola che Egli ti dice. È anche un rifiutare a noi stessi la vita, un condannare noi stessi alla morte perché l’uomo non vive che di ogni pa­rola che procede dalla bocca del Signore (Deut 8,3). Di qui l’importanza che ha nella vita dell’uomo la sua dipendenza dalla Sacra Scrittura.
Ma l’uomo deve anche parlare a Dio e il Salterio è anche la sua parola; come Dio parlando ci comunica se stesso, così in questa parola che l’uomo dice a Dio egli comunica se stesso. La parola deve realizzare il dono di noi stessi a Dio, un dono, come si può vedere dai salmi, che Dio soltanto può ricevere, perché gli altri non saprebbero che far­sene di questo dono. Chi starebbe ad ascoltare tutti i nostri lamenti? E invece il Signore, ecco, ci accoglie, ci ascolta. L’uomo deve donarsi a Dio così come è nella sua povertà. Egli non può chiedere all’uomo altro che questo, perché non può chiedere se non quello che è, e l’uomo non è che miseria e peccato, non è che povertà e sofferenza. Questo egli deve dare, perché altro non ha e questo Dio aspetta dall’uomo. La tua parola non è che l’espressione di questa tua sofferenza e di questa tua miseria, ma è una parola det­ta a Lui, rivolta a Lui, è l’atto per il quale tu doni a Dio tutto quello che sei. Così avviene attraverso il Salterio uno scambio divino. Dio che si dona alla creatura, Dio che si effonde negli abissi creati, e l’uomo che innalza a Dio tutta la miseria del mondo, nella sua parola, la solleva a Dio, perché Dio la riceva.

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