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mercoledì 23 novembre 2011

La preghiera, parola efficace

La preghiera, parola efficace

La parola dell'uomo a Dio è supplica, è implorazione. Noi non dobbiamo a Dio altro che le nostre necessità, perché in realtà non abbiamo altro.
La parola di Dio divenuta parola dell'uomo è preghiera. Si è detto che la parola comunica agli altri quello che siamo, ma quando tu preghi non comunichi nulla, tu chiedi. La parola dell'uomo dovrebbe essere un dono. E questo era sulle labbra del fariseo, che non conosceva se stesso. Donare a Dio: che cosa potremmo donare? che cosa abbiamo di nostro tranne la povertà? Così la nostra parola è preghiera e implora il soccorso divino. Che cosa doni a Dio? I tuoi bisogni perché egli li soddisfi. Tu doni a lui il tuo vuoto perché egli lo riempia. Tu offri a Dio la tua miseria perché egli la colmi del suo amore. Il dono dell'uomo non è altro che chiedere. Se veramente l'uomo dona qualche cosa di suo, non può donare altro che questo: il vuoto, la propria solitudine, la propria impotenza, la miseria che attende una risposta divina.
Si diceva: la parola di Dio è efficace, è creatrice. Si è detto: questa parola è atto. La cosa mirabile è questa: quando l'uomo parla a Dio, anche la sua parola è efficace.
Le parole sono parole, si dice, e si intende con questo affermare una certa opposizione fra la parola e l'atto. La parola dell'uomo dice e non fa, quando invece la nostra parola è detta a Dio essa è efficace. Anzi si può dire: l'unica efficacia vera dell'uomo è nella parola, quando egli la rivolge a Dio; perché precisamente Dio che è l'amore non può accogliere la tua parola che è necessità, la tua parola che è implorazione, senza immediatamente effondersi nel vuoto che gli offri, nell'abisso che gli spalanchi davanti. L'unica efficacia dell'uomo è nella sua parola, ma quando egli la rivolge a Dio. Non perché questa parola sia di per sé efficace, ma perché provoca l'onnipotenza creatrice; per questo motivo la vita più attiva è la vita di contemplazione. Si parla di vita attiva e di vita contemplativa come se fossero opposte una all'altra, ma l'uomo non fa veramente mai, nulla, egli deve ricominciare tutti i giorni da capo, perché, finché è l'uomo che opera, il suo lavoro non ha fondamento ed egli non può presumere di ottenere efficacia duratura. Tutto è consumato e distrutto dal tempo, tutto rimane imperfetto e in abbozzo; l'unica efficacia è quella di Dio. Per questo l'unica vita efficace è la vita di preghiera. Non credo all'azione, se questa azione non nasce e non termina nella preghiera. Tutti gli uomini fanno, ma quello che rimane, è solo quello che compie Dio. L'azione dell'uomo deve trovare nella preghiera il suo compimento; anzi meglio: la preghiera dell'uomo deve ottenere il compimento da Dio. E di fatto tutta l'azione della Chiesa ha il suo compimento nell'atto di redenzione che il sacerdote rende presente attraverso la preghiera liturgica. Tutta la vita della Chiesa termina nella Messa, che è la preghiera che consuma nel sacrificio di Cristo. Tutta la vita della Chiesa tende a questo atto, come a suo compimento divino.
Anche la nostra preghiera è l'atto più alto, più efficace per la sua forza e per la sua universalità. Possiamo dire con sant'Ireneo e con tutta la mistica ebraica che col peccato la creazione è sfuggita in qualche modo dalle mani di Dio, e rischia di precipitare nel caos primitivo; si va sempre più scompaginando, sempre più va precipitando nell'informe. Di qui il frantumarsi dell'unità, l'andare verso la morte. Quando Dio riprende la creazione, la riprende nella forza della sua parola. Come nella forza della sua parola egli aveva creato, così nella forza della parola egli riprende la creazione e la ristabilisce nel suo fondamento. Allora dona a questa creazione una nuova consistenza ed è nel Verbo incarnato che la creazione trova il suo fondamento eterno.
Ma Dio non vuol compiere nulla senza di noi. Come noi siamo associati al Verbo, siamo un solo Cristo, così anche l'azione del Cristo non può essere scissa né moltiplicarsi nell'atto dell'uomo; tutti gli uomini che sono un solo Cristo, dovranno vivere con Cristo un atto solo, l'atto della sua preghiera, che è anche l'atto del suo sacrificio. Da questo atto dipenderà la salvezza del mondo, la salvezza dell'universo, la redenzione di tutta l'umanità. L'operazione deriva dalla natura e due sono le operazioni del Cristo dal momento che in Lui vi sono due nature. Siccome la natura umana è stata restaurata, è ritornata ad essere una nel Cristo e noi tutti siamo un solo Cristo, ne viene che tanto più realizziamo la nostra salvezza quanto più siamo una sola cosa con Lui; e quanto più siamo una sola cosa con Lui, tanto più, anche, viviamo noi tutti una sola vita. L'atto del Cristo uomo diviene l'atto di tutta l'umanità. La santità di ogni uomo non moltiplica la santità del Cristo, non si assomma alla sua santità, ne è soltanto partecipazione, perché la santità è una, come una è la vita, una la gioia, uno l'amore, uno l'atto che realizza questa natura una del Cristo totale. E questo atto è il sacrificio del Cristo. Con la partecipazione alla Messa, con la preghiera dei salmi noi tutti viviamo e compiamo un atto che è immensamente più grande della creazione del mondo; è l'atto nel quale consuma tutta la vita del mondo. Di fatto la onnipotenza divina non trovava un ostacolo a trarre dal nulla tutte le cose, ma la volontà stessa onnipotente di Dio trova un impedimento nel peccato dell'uomo. E Dio non associa l'uomo all'atto della creazione del mondo, ma associa l'uomo all'atto della sua redenzione. Ogni lavoro dell'uomo che non sia, nella preghiera, un agire su Dio, non è che il gioco di un bambino che continuamente si rinnova e non lascia traccia. Nella preghiera collaboro con Cristo alla redenzione dell'universo. Ricordo un testo del cristianesimo primitivo che mi dà le vertigini. È di Aristide, uno dei primi apologeti cristiani, che scrive queste parole: «Che il mondo sussista, dipende dalla preghiera dei cristiani». Siccome col peccato la creazione è sfuggita dalle mani di Dio, non può avere altro fine che la morte: Stipendia enim peccati, mors (Rom. 6, 23); non la morte soltanto dell'uomo, ma la fine di tutta la creazione.
L'atto che sottrae alla morte la creazione è solo l'atto del Cristo che redime il mondo, ma la nostra preghiera non è dissociata da quell'atto, è la nostra partecipazione a quell'atto, è un far nostro quell'atto. Non è soltanto l'accettazione di una redenzione, ma è la cooperazione dell'uomo alla redenzione universale. Per questo il sacerdozio cristiano, non solo con la Messa, ma anche con la preghiera dei salmi deve parlare a Dio ogni giorno in nome di tutta la creazione, deve implorare e ottenere per la creazione tutti i beni che la fanno sussistere e la fanno procedere verso il suo fine di gloria. Tutto dipende dall'uomo, ma tutto dipende da lui precisamente in quanto egli prega. Uno che non crede può scuoter la testa. Veramente è una cosa che non riusciamo ad accettare senza la fede, perché ci sembra, in realtà, che il mondo fisico sia del tutto indifferente al mondo spirituale, anzi che non vi sia, fra i due mondi, alcun rapporto. Ci sembra anzi che sia questo lo scandalo più grave della creazione, che la natura non conosca affatto l'uomo: l'uomo conosce la natura, ma la natura non sembra conoscere l'uomo; essa è cieca nei confronti dei valori dello spirito. Il peccato ha diviso, almeno sembra, questi due mondi che vivono l'uno accanto all'altro e a vicenda s'ignorano. La divisione tuttavia, anche indipendentemente dalla grazia, non è che relativa e non potrebbe essere definitiva. La fede poi ci insegna che l'atto della morte del Cristo ha redento l'universo. È vero tuttavia che la redenzione immediatamente risana l'intimo centro dell'anima, ma da questo intimo centro può e deve rifluire sul corpo e sul mondo. Così la preghiera dell'uomo non ha soltanto un effetto sulla vita spirituale dell'uomo, ma su tutta la vita, perché non vi è un ordine soprannaturale che possa essere superato dall'ordine di natura. La grazia, proprio per questo si dice accidentale, come insegnano i teologi, perché s'inserisce nella natura e perciò la suppone.
Vi è dunque un rapporto fra la preghiera dell'uomo e la natura e gli stessi avvenimenti storici, anzi è la preghiera che ristabilisce questo rapporto, nella misura che il peccato lo ha violato e in parte l'ha distrutto. E noi lo crediamo, tanto che anche per le nostre piccole cose chiediamo la preghiera degli altri e noi stessi preghiamo. Nel rituale esiste la benedizione delle case, dell'acqua, delle campagne; si prega per la pioggia e per il sereno... tuttavia sembra che tutto dipenda dalle leggi fisiche dell’universo, quasi che il mondo vada per conto suo, ignaro e insensibile allo spirito. Noi dobbiamo credere invece che realmente dalla nostra preghiera, in Cristo, dipende ogni cosa.
La preghiera, certo, non dispensa dal lavoro umano, ma il lavoro umano è nella preghiera che diviene in realtà efficace. Che rapporto vi è fra la mia preghiera rivolta a Dio e il grano che matura nei campi? Sembra comunemente che Dio abbia abbandonato la natura alle sue leggi, una volta che le ha stabilite; ma che cosa sono le leggi se non l'espressione della sua volontà personale? Non dobbiamo mettere tra Dio e la creazione le leggi, quasi avessero una loro sussistenza, un loro potere indipendentemente dalla volontà creatrice di Dio. Se queste leggi sono concordi, mentre la volontà dell'uomo non è ferma, è perché la volontà di Dio, a differenza della nostra volontà, è immutabile. Di qui deriva alle leggi del mondo una loro immutabilità. Ma la creazione dipende sempre assolutamente da Dio. Dio non l'ha lasciata autonoma, né potrebbe lasciarla autonoma senza che essa ricadesse nel nulla.
Se la mia preghiera raggiunge Dio e Dio accoglie la mia preghiera, la mia preghiera ha l'efficacia che deriva precisamente dal fatto che Egli l'ascolta: questa è la funzione di colui che prega. Si deve sapere che alla preghiera sono affidati i malati, i peccatori, i moribondi; è affidato il governo degli Stati. A colui che prega è affidato il procedere dell'universo verso i suoi supremi destini. Tutto ci è affidato, perché Dio tutto ci ha messo nelle mani e ha voluto che attraverso la nostra preghiera provvedessimo a tutto, perché attraverso la nostra preghiera ci uniamo alla preghiera e al sacrificio redentore di Gesù.
Durante l'ultima guerra al furore dell'inferno scatenato contro di loro, i figli del popolo di Dio rispondevano con i salmi. La comunità ebraica non si rivolgeva alle nazioni, non cercava un rifugio in altra terra, recitava i salmi. Dio ha deluso allora Israele? Come dobbiamo stare attenti a non trarre facili conseguenze dall'agire divino! Anche alla preghiera di nostro Signore il Padre sembrò non rispondere: Padre, se vuoi allontana da me questo calice (Lc. 22,42; cf. Mc. 14,36; Mt. 26,42); il Padre ha deluso Gesù che lo pregava? Il fatto è questo: gli ebrei opponevano al furore, la preghiera. Credo che lo sterminio degli ebrei nel 1939-1945 abbia il valore di un mistero; non è semplicemente un fatto umano, un avvenimento storico, è un avvenimento altrettanto grande, come i più grandi avvenimenti della cristianità. Probabilmente possiamo dire: nella storia della Chiesa un fatto di quella grandezza forse ancora non è avvenuto. Che cosa voglia preludere quel fatto non lo so e nessuno lo sa, ma è certo un avvenimento che ha un significato sacrale, è un mistero. «Noi cantiamo i salmi», essi dicono, ed hanno coscienza veramente che la preghiera regge il mondo, determina il cammino delle nazioni, salva i popoli e compie finalmente i disegni di Dio. Questa è l'efficacia della parola dell'uomo, quando si rivolge a Dio. Contro il potere del male l'uomo non può opporre che la preghiera, ma la preghiera è efficace, perché l'efficacia Dio l'ha riserbata a Se stesso e tutto quello che l'uomo fa, indipendentemente da Dio, è destinato alla morte. L'unica cosa che rimane è quello che Dio compie.
Ma dal momento che Dio si è fatto uomo, Egli non fa nulla senza l'uomo. Per questo l'onnipotenza di Dio è legata oggi alla preghiera dell'uomo, dipende in qualche modo dalla preghiera. L'onnipotenza di Dio non interviene che in quanto la preghiera dell'uomo la scioglie, ne dirige il cammino, l'impegna alla realizzazione di tutto quello che essa chiede. Credo che dalla preghiera liturgica della Chiesa dipenda realmente ogni cosa. È il Pater noster, è la preghiera dei salmi, è finalmente il sacrificio del Cristo, che nella liturgia si fa presente, il fondamento di ogni speranza umana. Tutto in realtà dipende da questa preghiera, come tutto dipende da Dio. Non certo per natura le cose dipendono dall'uomo, ma ne dipendono per libera volontà di Dio, perché egli ha associato così intimamente l'uomo a se stesso, che ora Dio non opera senza l'uomo e l'uomo non può operare nulla senza Dio. È Dio che compie, ma è l'uomo che implora; e Dio non compie se non quello che l'uomo implora. L'implorazione umile dell'uomo è in qualche modo uguale all'onnipotenza di Dio che realizza e così l'onnipotenza creatrice interviene secondo quello che chiede la parola dell'uomo. E questo non è vero soltanto sul piano della vita spirituale, ma anche sul piano dell'universo fisico, perché non vi è separazione: Dio che tutto ha creato, tutto ora per Cristo redime. E il Cristo non è solo Gesù di Nazareth, ma con Lui siamo anche noi che in Lui siamo uno, un solo Cristo, che vive una sola vita, anzi un atto solo, l'oblazione che è preghiera ed è sacrificio.
La vita del Cristo è la nostra medesima vita; l'atto di una redenzione universale che Egli compie è in qualche modo l'atto anche di tutta la Chiesa. Non indipendentemente da Cristo essa opera e vive, ma in quanto è una con Lui. Nella misura che noi siamo una sola cosa con Cristo noi partecipiamo di quella universale redenzione che Egli ha compiuto e non solo in quanto siamo noi stessi redenti, ma anche in quanto la compiamo con Lui. La nostra preghiera non vuol essere una preghiera per gli altri, perché non ci sono gli altri. Nella misura che io sono in Cristo, di fatto, sono uno con tutti. Per questo non posso dividere più la salvezza che chiedo per me dalla salvezza che chiedo per tutti i fratelli., La salvezza che è frutto del sacrificio di Cristo è la salvezza del Cristo totale. In questo sacrificio l'atto dell'offerta non si separa, anzi è uno, con l'atto di Dio che l'accoglie; la preghiera non si divide dalla risposta efficace di Dio che risponde. E il Cristo totale è l'universo in qualche modo assunto dal Verbo, è tutta quanta l'umanità assunta da Cristo come suo corpo.
È vero: lo spirito dovrebbe dominare la materia, ma dopo il peccato ne subisce invece tutte le offese. Non soltanto subisce le offese di un mondo fisico, ma il mondo fisico ignora completamente il mondo dello spirito. I due mondi sembrano come divisi, sembra che ognuno vada per conto suo. Un atto vi è che ristabilisce questa unità fra i due mondi: l'atto del Cristo. L'uomo non li unisce direttamente: il peccato che ha diviso i due mondi non è superato né vinto, anche nelle sue conseguenze, che dall'atto del Cristo che solo ripara il peccato.
L'atto del Cristo è l'offerta, il suo sacrificio. Egli si offre al Padre per la salvezza del mondo – il suo atto è l'atto di una efficacia che opera l'unità, per la quale egli ha pagato e si è offerto. Di quell'atto vive ogni preghiera; ogni preghiera partecipa di quell'offerta, partecipa di quell'efficacia. Così alla preghiera dell'uomo è affidata, in qualche modo, la salvezza dell'universo.

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