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mercoledì 23 novembre 2011

Lotta cosmica tra Satana e Dio

Lotta cosmica tra Satana e Dio

Non vogliamo analizzare qui i singoli salmi, ma soltanto vedere un poco il loro contenuto, perché sia vera la nostra preghiera e sappiamo quello che questi salmi vogliono dire, che cosa voglia esprimere questa parola.
Attraverso la parola della preghiera cristiana l'uomo è associato all'opera di una redenzione universale. La creazione che è sfuggita dalle mani di Dio, ora ritorna a ricompaginarsi e a ordinarsi al suo fine mediante una preghiera che ottiene l'intervento divino per la redenzione del mondo. Per questo la preghiera è l'atto efficace dell'uomo, l'atto che riassume in qualche modo tutta la vita dell'universo in quanto lo strappa alla legge del peccato che lo trascina nella morte, per sollevarlo fino a Dio. L'azione dell'uomo che non termina nella preghiera, di per sé, è destinata a finire, ad essere spazzata via dall'onnipotenza creatrice, ad essere portata via dal fiume del tempo. L'Unico che resiste, l'Unico che realmente è, è Dio, e Dio si fa presente nel mondo per la preghiera dell'uomo che implora l'intervento divino e ottiene la discesa di Dio, la sua presenza.
Che cos'è dunque la preghiera e che cosa essa esprime? La preghiera dell'uomo suppone la tensione tragica tra ordine di natura e ordine di grazia. Mentre, secondo il disegno divino, l'ordine di natura doveva coincidere con l'ordine di grazia, attraverso il peccato sembra invece che ora non solo una tensione persista, ma una dura opposizione opponga un ordine contro l'altro. O piuttosto, in questo mondo ora sono di fronte due forze nemiche: una forza di distruzione e di morte, una forza invece di creazione e di vita. È entrato nel mondo il peccato e attraverso il peccato è entrata nel mondo la morte, s'è scatenato il male. Non è solo un male impersonale che regna, non è il male che è deficienza di essere, è la presenza di una forza che agisce, che riporta tutte le cose nel nulla, un'azione di distruzione e di morte. Di fronte a questo scatenarsi delle forze del Maligno che si rinnova per ogni generazione degli uomini, l'intervento della forza di Dio.
Tutta la storia del mondo che i salmi ci rivelano e di cui sono anche elemento, è una guerra. Tutta la vita dell'universo, tutta la storia del mondo non è che una guerra. E quale guerra! L'inferno contro Dio, Dio contro l'inferno. Si chiede la pace per noi, si chiede la pace per gli altri, ma proprio perché si chiede, non la possediamo mai intera e perfetta. Sembra che si possa estendere la parola che scriveva Baudelaire: «La più grande vittoria che ha compiuto il demonio è quella di far credere che egli non esiste». È pericoloso parlare di pace, quando di fatto la pace non c'è. La pace quaggiù sembra frequentemente fondata su compromessi temibili: la Chiesa con il mondo, l'uomo con il male. Nessuno è in pace, siamo tutti in guerra. Il combattimento interiore che ognuno deve combattere, non esclude il combattimento esteriore; il combattimento dell'uomo non esclude ma si amplia nello stesso combattimento dei popoli. Del resto il mondo si accanisce contro il Regno di Dio e i cristiani, di fatto, non vivono che per andar contro il male che nel mondo si esprime.
Se la Chiesa è per il mondo, questo non vuol dire che la Chiesa e il mondo abbiano fatto la pace. Al contrario: è proprio perché la Chiesa non può ignorare il mondo e deve salvarlo, che si evidenzia l'opposizione del mondo al Regno di Dio. La Chiesa non può chiudersi in sé, isolarsi dal mondo; ordinata al mondo, non vive la sua missione che in quanto libera il mondo dal peccato, sopportandone essa medesima il peso. È questo che dicono i salmi. Se noi non abbiamo questa concezione della vita, i salmi, di fatto, non possono divenire la nostra preghiera, non possono essere la nostra parola. Essi suppongono un dramma, non sono che l'espressione di una tensione, di una lotta tragica che oppone l'empietà al bene, il Maligno a Dio. Fin dall'inizio il Salterio conosce due vie: la via dell'empio e la via del giusto; soltanto alla fine termina nell'unità di una lode che sale a Dio da tutto l'universo redento.
Il Salterio è una composizione, un poema lirico che ha un'unità meravigliosa. Nonostante sia stato composto attraverso più di cinquecento anni e sia l'opera di autori sconosciuti, ha un'unità che supera l'unità di qualsiasi libro. Ha l'unità che gli è data da un Dio che conosceva il destino del tempo, che sapeva la ragione del cammino dell'uomo. Ci rivela il senso della vita quaggiù. Si parte dalla dualità, dall'opposizione più dura perché è l'opposizione del male con il bene, dell'empio con il giusto, per terminare poi in una lode che non è più soltanto la lode del giusto, è la lode di tutta quanta l'assemblea dei santi ed è la lode anche di tutto l'universo associato a questa assemblea. Al termine non esiste più che l'Alleluja, il canto di lode al Signore. In quel giorno – dice il profeta Zaccaria – io sarò Uno e il mio nome Uno (Zc 14,9).
Ma per giungere a questa unità quale cammino! Un cammino duro e doloroso deve compiere l'uomo e dura tutta la lunghezza del tempo, ed è il contenuto di tutta la storia. Solo la perfezione dell'amore realizza l'unità dell'uomo, l'unità dell'uomo con l'uomo, l'unità dell'uomo con Dio, e questo ci dicono i salmi. Ma per giungere a tanto bisogna combattere; la vita è una lotta, la storia stessa è una guerra. Di questa guerra, l'unica, di cui le altre non sono che immagini e forse episodi, il campo è l'intero universo: non vi è più luogo in cui l'uomo possa essere in pace. Vai nel deserto e lì si accanisce il nemico; entri nella città e vi trovi la lotta; dovunque, in ogni tempo, la guerra. Dobbiamo conoscere i metodi della lotta, vedere in che modo il nemico tenta la vittoria e in che modo invece Dio vince.
Uno dei peggiori pericoli cui il cristianesimo va incontro è il suo compromesso con il mondo. Invece di essere il sale frequentemente non siamo per il mondo che zucchero, diceva un ottimo sacerdote libanese. È mascherando il volto del male, non riconoscendolo come male, che il mondo potrà essere salvo? La volontà di non essere sufficientemente attuali insidia oggi il cristiano, insidia la Chiesa intera. Non vogliamo più conoscere il dramma, la lotta, e così misconosciamo la stessa realtà, perché non è soltanto la grazia una componente della storia umana: ma della storia umana, della storia dell'universo sono componenti la grazia ed anche il peccato. Solo alla fine è assicurata la vittoria di Dio.
Non solo l'Antico Testamento, ma anche il Vangelo non ci parlano della vita dell'uomo che in termini di lotta, di dramma. La rivelazione insegna che una tensione continua è immanente alla storia e insegna che questa durerà sino alla fine. Solo per fede sappiamo che Dio vincerà, ma la vittoria stessa di Dio, alla fine, non toglie l'ambiguità della vita di ogni cristiano. Il cammino degli uomini non è affatto continuo. Il Vangelo sembra annunciare piuttosto un'apostasia finale. Il Signore come in un grido di angoscia domanda: Ma il Figlio dell'uomo, alla sua venuta, troverà forse la fede sopra la terra? (Lc 18,8). Il Maligno è all'opera e Giuda non dorme. Nessun momento nella storia, nessun luogo è al sicuro.
Nell'Antico Testamento l'opposizione fra Dio e il Maligno non è così grave, né così dura la lotta come nel Nuovo. Il demonio è un po' un buffone di corte: nel libro di Giobbe è ammesso infatti alla corte di Dio e gli parla. Non sembra che si debba prendere troppo sul serio, ma quando si fa presente Gesù, allora il demonio è costretto a rivelare il suo volto e tutta la sua perfidia.
II Vangelo è la manifestazione dell'immensa misericordia di Dio nella persona del Cristo: Dio si fa presente e si rivela nel volto di un Uomo, ma questa presenza di Dio costringe Satana a smascherarsi. E noi lo incontriamo nel deserto, lo ritroviamo al tempo dell'agonia, nella passione di Gesù... Il Vangelo è pieno della sua presenza com'è pieno iella presenza del Cristo. È impressionante quanti ossessi il Signore risana: tutta l'azione del Cristo è una lotta senza quartiere contro il potere di Satana. Nel crepuscolo le cose non fanno più ombra; ma quando la luce nella sua forza risplende, le cose che resistono alla sua avanzata proiettano l'ombra. È questa la vita del mondo ed è questa la storia dell'uomo: una guerra senza quartiere e senza riposo, in cui sono impegnati il cielo e l'inferno, e il campo di questa lotta è l'universo ed è il cuore stesso dell'uomo.
L'unità dei salmi deriva da tale concezione drammatica di tutta la vita del mondo. Nell'Antico Testamento Mosè, sul monte, alza le braccia al cielo nella preghiera e sconfigge gli amaleciti; nel Nuovo, Gesù nel Getzemani e sulla Croce prega e la sua preghiera sconfigge la potenza del male e redime l'universo. La Chiesa continua la preghiera del Cristo ed è in questo suo atto che la salvezza, meritata dal sangue del Cristo, si fa reale, attuale nella vita del mondo.
Per questo i salmi non ci fanno conoscere solo la vita come una lotta, la storia come una guerra e l'uomo ingaggiato nella lotta, dalla parte di Uno o dalla parte dell'altro dei contendenti, ma ci inseriscono in questa lotta, ci introducono come attori in questo dramma cosmico, in cui non sono impegnati solo gli uomini, ma gli angeli e i santi, ma Satana e Dio. La lettura stessa dei salmi, la preghiera dei salmi è anzi essa stessa l'arma per combattere il male.
La dimensione della vita di un uomo ha la stessa grandezza del cosmo, la stessa vastità dell'universo in cui si dispiega la sua azione, insieme all'azione di Dio. È vero che l'atto supremo che realizza e stabilisce la vittoria è l'atto della morte del Cristo che si fa presente nel sacrificio della Messa, ma proprio per la sua unità e semplicità gli uomini difficilmente potrebbero rendersi conto, nella partecipazione a questo atto, delle proporzioni della lotta. L'uomo non realizza la difficoltà della lotta e la forza dei nemici che deve sgominare, che attraverso la preghiera dei salmi; con la recita dei salmi egli si unisce al sacrificio eucaristico e, con questa preghiera, più intensamente partecipa alla vittoria di Dio. Non è che il sacrificio redentore del Cristo, fatto presente nella Messa, non sia sufficiente, è anzi questo solo che opera la vittoria, ma gli uomini non vi partecipano coscientemente e pienamente che attraverso una preghiera che come personalmente li impegna, così anche rivela loro e la durezza del combattimento e il prezzo che essi pure debbono versare e la vastità del conflitto nel quale sono ingaggiati. La preghiera dei salmi è così preparazione ed è prolungamento della liturgia della Messa.
L'uomo partecipa al sacrificio di Cristo con l'assistenza al sacrificio eucaristico, ma anche con la recita dei salmi nell'Ufficio divino. Sono i salmi che insegnano la grandezza dell'atto redentore: vittoria del Cristo in una guerra combattuta su tutti i fronti da tutti gli esseri creati lungo il corso di tutta la storia.
I salmi, oltre a insegnarne la grandezza, fanno partecipare a quell'atto. Ogni uomo di fatto è chiamato a prendere parte o per uno o per l'altro esercito: ogni neutralità è impossibile; l'uomo o dipende da Dio o, nell'istante medesimo che rifiuta di ingaggiarsi al suo servizio, cade nella schiavitù del Maligno e diviene strumento della sua malvagità, strumento della sua forza distruttrice, di morte. I salmi ci dicono l'estensione della lotta, il furore di questa battaglia, ma ci insegnano anche i metodi, per noi, di conseguire la vittoria. Prima di tutto il nostro combattimento certo, è la stessa preghiera. Per questo Gesù medesimo, sulla Croce, nell'istante più drammatico della lotta, fece sua la parola dei salmi. La preghiera stessa dei salmi suppone che l'anima abbia preso coscienza dei nemici che guidano la lotta, dove i capi non appaiono direttamente; ma è mediante coloro che hanno come alleati e servitori, che essi combattono. E da una parte chi combatte con Dio e per Dio è l'innocente, il giusto, è il perseguitato. Sembra che la sofferenza, la povertà già per sé trasferiscano l'uomo nell'esercito di Dio, lo mettano dalla sua parte.
Dall'altra c'è l'empio, il bestemmiatore, il sanguinario, lo stolto che dice nel suo cuore che Dio non c'è: è il superbo di cuore, il malvagio. Con cinquanta nomi diversi è sempre lui: il Maligno. Si veste e si traveste sotto il segno di tutti: dello scriba ambizioso, del nemico del popolo di Dio, del fratello che ti tradisce, del sacerdote infedele: si traveste sotto tutti gli aspetti, ma rimane sempre lui, il servo del male, lui che opprime il povero, lui che opera la menzogna e vuole la morte, lui la cui vittoria non è che la distruzione. Il giusto è in mezzo agli empi, molto frequentemente nelle loro mani e non sembra avere altra arma da opporre alla guerra che gli è mossa, che la sua preghiera.
Dire il Salterio vuol dire sentirsi, essere già dalla parte dei poveri, dei perseguitati; vuol dire sentirsi destinati al macello. Se non ci sentissimo così, la preghiera dei salmi sulle nostre labbra suonerebbe falsa. Se non siamo il giusto perseguitato, il povero che chiede aiuto, il peccatore pentito che geme e invoca la pietà del Signore, siamo allora l'empio, l'oppressore, il nemico sanguinario, lo scriba altezzoso, l'amico traditore. La parola dei salmi rimane la nostra parola; questa parola definisce comunque la nostra vita: o siamo i nemici che combattono il piano di Dio, respingono il bene, si accaniscono nell'odio e nella menzogna, siamo i servi di Dio che realizzano i suoi disegni nella loro stessa presenza di umiltà, di pace, di innocenza, di dolcezza e di amore.
Si impone una scelta. Beato l'uomo – comincia il salmista – che non va per il sentiero degli empi (Sal. 1,1). Beato l'uomo... quale uomo? lo dirà poi: l'innocente di mani e il puro di cuore (Sal 24,4), colui che è oppresso e non opprime, colui che è gravato da tutti i dolori e non procura dolore ad alcuno. Il contenuto dei salmi non è che la guerra di Dio. Tutto aspira alla pace, ma vi è soltanto la pace del cielo e quella dell'inferno. La pace dell'inferno è la morte e la pace del cielo è la pienezza ineffabile, l'unità di un amore che tutto abbraccia e possiede. Finché viviamo quaggiù non è mai definitivo lo stato di alcuno: né siamo mai caduti nell'inferno, né siamo mai entrati totalmente nel cielo. Così la pace di quaggiù è relativa: almeno definitivamente non possiamo essere sottratti – anche se lo fossimo a un nostro dissidio interiore – a un conflitto esteriore che ci fa solidali con il mondo, con tutti gli uomini, in uno stesso impegno di guerra. E non possiamo disertare. Si può solo passare dal campo dell'Uno al campo dell'altro e divenire da oppressi, oppressori; da servi di Dio, strumenti di Satana... Se vogliamo combattere la battaglia di Dio l'arma sarà, prima di ogni altra, la preghiera. La parola di Dio è spada a due tagli ed è questa parola che egli ti ha dato. Di fronte al furore del male, che sembra sommergere ogni cosa, il giusto non ha da opporre che l'apparente fragilità della parola. Ma la parola dell'uomo, quando sale a Dio, è onnipotente e arresta anche l'oceano dilagante dell'iniquità che investirebbe ogni cosa; la preghiera dell'umile, la preghiera del povero perseguitato, la preghiera del bambino innocente, la preghiera del giusto che si immola è la preghiera del Cristo.
Come Gesù ha fatto sua la preghiera dell'uomo, così ora l'uomo fa sua la preghiera del Cristo, che nella sua morte volle pregare con la parola dei salmi. Che cosa ha opposto il Cristo a tutto il furore del mondo, a tutto l'odio del male? Solo la preghiera: Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? (Sal. 22,2) e ancora: Padre nelle tue mani raccomando lo spirito mio (Lc. 23,46). E per gli uomini che lo crocifiggevano: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc. 23,34).
È da questa preghiera che dipende la salvezza del mondo, la vittoria del Cristo, che si è dato, agnello mansueto, in mano dei suoi nemici perché potessero fare di lui quello che essi volevano, e il male si è sfogato su di lui fino in fondo, fino a esaurire ogni suo potere di morte, perché il Cristo non ha opposto alcuna resistenza alla sua forza. Così egli ha vinto: il suo amore è stato più forte del male, ed egli ha trasformato la morte in un atto supremo di amore per coloro stessi che gli davano la morte. Per questa vittoria il Cristo ha pregato: l'angoscia della morte è divenuta benedizione, perché con la forza della preghiera ha vinto la ripugnanza e la resistenza della natura alla morte e ha fatto della sua morte l'atto ultimo del suo amore.
Gli uomini debbono associarsi al Cristo che prega, unirsi a questa sua preghiera per trasformare anche la loro umile sofferenza, anche i sentimenti della loro povertà, anche l'umiltà della loro vita in un atto di abbandono alla volontà di Dio, in un atto di amore. La vita dell'uomo è qualcosa di immenso: non si vive di fatto una nostra vita; se la nostra preghiera è partecipazione alla preghiera del Cristo, anche la nostra vita è partecipazione alla sua vita, al suo mistero. E non solo in lui siamo salvati, ma in qualche modo diveniamo, con lui, salvatori. La nostra vita, nella sua umiltà, diviene grande; nella sua povertà, ricca; nella sua debolezza, potente; forte della potenza stessa del Cristo che prega e solleva dall'abisso del male una creazione rovinata per restituirla alla primitiva innocenza, per trasfigurarla in una gloria nuova di santità e di luce.

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