Benvenuto: PAX et BONUM

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mercoledì 23 novembre 2011

La parola del Cristo

La parola del Cristo

Più di ogni altro libro dell'Antico Testamento possiamo dire che i salmi sono il libro di nostro Signore. Non solo - sarebbe una ragione soltanto esteriore - perché egli l'ha usato forse più di ogni altro libro della Sacra Scrittura, ma anche perché più di ogni altro era veramente il suo libro, la sua parola. Parola sua in quanto Egli era l'uomo. Si è già detto che quello che distingue il Salterio è precisamente il fatto che è parola di Dio ed è parola di tutto l'uomo. È tutta l'umanità che parla e si esprime attraverso questi centocinquanta componimenti poetici. Non un popolo, non la storia soltanto di un popolo e tanto meno non la vita interiore di un qualche uomo vissuto in un certo tempo, ma l'uomo nella sua accezione più vasta, nella sua più ampia comprensione, l'uomo concreto, l'uomo nella sua condizione di pena e di miseria quaggiù: tutto l'uomo ci parla attraverso questa parola...
Ora, nessun uomo si identifica all'uomo tranne il Signore, tranne Gesù. Per questo il Salterio più di ogni altro libro è il libro di Gesù. Libro che è suo perché egli è la parola di Dio, libro che è suo perché egli è la parola dell'uomo.
L'uomo non si conosce che in Cristo, in Cristo solo l'uomo vero e concreto si esprime. Ora, la parola di quest'Uomo è precisamente il libro dei salmi. Ma se il libro dei salmi è il libro per eccellenza del Cristo, ne viene che Egli stesso, Egli solo può svelarcene il segreto, può iniziarci a una sua comprensione, può far sì che questa parola divenga anche la nostra parola nella preghiera, cosicché nella nostra unione con Lui, attraverso i salmi noi finalmente possiamo vivere ed esprimere tutta la vita umana e tutta la vita di Dio.
Anche qui il miracolo che ha compiuto l'incarnazione del Verbo: non vi è possibilità ora di far nostra la parola di Dio, senza dover far nostra anche tutta la parola dell'uomo, senza esclusioni. Il vero cristiano non è estraneo a nessuno, non può essere mai l'uomo che si sottrae alla moltitudine, l'uomo che vive in una torre d'avorio, senza la contaminazione del dolore e anche della miseria umana.
Nei salmi parla tutto Dio e in essi parla anche tutto l'uomo e là dove parla tutto Dio e tutto l'uomo, è il Cristo stesso che si fa presente. Il suo libro è il libro dei salmi: per questo il vero iniziatore a una comprensione profonda. di questa parola non può essere che colui al quale questa parola appartiene. E colui che veramente non soltanto ce la insegna, ma la può far nostra, è anche colui il quale ci chiama a una nostra trasformazione in Lui. Ecco perché il Salterio lo si può far nostro pienamente, solo nell'atto liturgico, quando cioè non l'uomo solo parla e non l'uomo solo prega, ma il Cristo parla e prega nell'uomo.
L'unità à del Salterio alla quale noi ci richiamavamo in che cosa praticamente consiste? Un libro è uno quando determina bene il suo contenuto, quando, in vista di quella cosa che vuol dire, l'autore determina organicamente il processo del ragionamento, l'ordine dei capitoli, le varie materie che tratta. Sembra dunque che l'unità di un libro implichi per sé delle esclusioni: l'unità del Salterio è invece quell'unità che deriva dal fatto che essa nulla esclude. È l'unità che deriva dalla sua ricchezza. Ma come questa unità può essere salvata, quando nulla vi è escluso? L'uomo può dare unità a un libro, ma precisamente deve escludere qualcosa. La mente dell'uomo e il suo cuore non hanno una capacità ai abbracciare l'universo, non hanno una capacità di dominare tutto lo scibile, di far loro tutta la vasta esperienza dell'uomo. Colui che la fa sua è il Signore. L'unità perciò gli deriva, non tanto dai singoli autori, quanto da Dio stesso. Certo anche gli altri libri della Sacra Scrittura hanno una loro unità, tuttavia l'unità degli altri libri può essere voluta e realizzata anche dai singoli autori umani. È evidente, per esempio, che il deutero Isaia ha una sua unità tanto stilistica quanto di contenuto; è evidente che ha una sua unità il libro della Sapienza o il libro di Ezechiele. Quest'unità è l'unità che non deriva solo da Dio, ma anche dall'autore umano che ha composto il libro, ha organizzato in tal modo la materia per la significazione di un suo messaggio particolare. I salmi, se hanno una loro unità, non possono derivare la loro unità dagli autori umani, perché sono molti, non sappiamo neppure quanti, e non hanno vissuto nemmeno nel medesimo tempo. Si può dire che la composizione dei salmi copre un arco di almeno cinque secoli, per alcuni esegeti anche di più. Ora, è difficile che un'opera iniziata cinque secoli prima possa continuare a mantenersi una nonostante che si susseguano lungo il tempo diversi autori con diversa esperienza umana e religiosa e con diverso stile. L'unità del Salterio non può dunque derivare dagli autori umani; deriva esclusivamente da Dio, deriva esclusivamente dal fatto che il Salterio più che essere opera di un uomo, è opera di Dio. Dio solo si riconosce in questo libro, Dio solo che ha fatto di questo libro la sua parola. Più che la parola di un uomo è la parola dell'Uomo, ed è la Persona del Verbo che nella sua incarnazione ha assunto la natura umana, è divenuto l'Uomo.
Incarnandosi il Verbo di Dio assume sì una natura umana nel seno della Vergine ma questa natura, proprio perché nel Cristo è redenta, ritorna ad essere una. La moltiplicazione della natura nei singoli, ritorna, in lui, ad essere una: egli è l'uomo. Nell'unità del Cristo le persone rimangono distinte, la mia dalla sua, ma non si distingue più l'umanità sua dalla nostra: noi tutti siamo uno solo, dice Paolo: un solo uomo. Per questo il quarto Vangelo fa dire a Ponzio Pilato di Gesù: Ecco l'uomo! (Gv. 19,5). Egli è veramente il nuovo Adamo nel quale tutti gli uomini sono, egli tutti li abbraccia e in sé li fa uno.
Ora, proprio per questo, il Salterio è la parola di Dio, ma non di Dio nella sua solitudine infinita, nel mistero inaccessibile della sua trascendenza, ma di Dio soprattutto fatto uomo. Per questo il Salterio si può dire il libro del Cristo. È Dio ed è l'uomo che ci parlano e questo uomo è il Cristo, nel quale tutta l'umanità veramente si riassume e vive, nel quale veramente tutta l'umanità si fa presente: in lui noi tutti siamo. Così come il Padre, il Verbo e lo Spirito santo sussistono nella natura una, così noi tutti sussistiamo nell'unità del Cristo.
L'unità del Salterio deriva dunque dal fatto che è il libro di colui che solo poteva far sua questa parola e conferirle l'unità, perché tutto egli comprendeva e abbracciava, come Dio e come Uomo.
Si diceva sopra che l'unità di un libro deriva, in un autore umano, da una certa esclusione che egli opera, da un certo organico ordinamento delle materie. Nel Salterio sembra che non vi sia nessun ordinamento e nessuna esclusione: vi è tutto il mondo umano che canta e geme, che prega e impreca. Guardini scriveva: «Dio ha creato l'uomo in tal modo che Dio solo poteva realizzare le sue possibilità quasi infinite». Si può dire che l'uomo, in quanto tende alla sua perfezione, a una realizzazione piena della sua natura, sembra invocare, sembra attendere il Cristo, il Verbo che lo assuma. Dobbiamo ammettere, certo, che la natura per sé non può aspirare al soprannaturale, ma dobbiamo anche riconoscere che la natura in concreto è tutta ordinata al mistero della grazia. L'uomo tende a Cristo, perché solo il Cristo lo realizza. Ogni uomo è nel Cristo più che in se stesso. questo è vero anche per quanto riguarda i salmi. La parola dell'uomo deve divenire la parola del Cristo. Così solo il Cristo può far sua questa parola e solo nel Cristo tu la vivi pienamente. Ed è cosa mirabile il fatto che questa parola, che è la parola del Cristo, venga pronunciata prima ancora che Dio si faccia uomo. Il Cristo è il Verbo fatto carne; è giusto dunque che la parola preceda la sua incarnazione; che l'aspirazione di tutta l'umanità, che lo implora e lo attende, preceda l'incarnazione. Questo allora ci dicono i salmi: che il Cristo, già è presente misteriosamente prima della sua incarnazione nella parola dell'uomo, nella sua preghiera, in tutta la sua vita. È una cosa immensa pensare che la vita dell'uomo diviene la vita di Dio, che la parola dell'uomo diviene la parola di Dio. È una cosa che ci esalta, ma anche ci dà sgomento pensare che Dio ha potuto far sua, incarnandosi, la sofferenza umana, l'esperienza di tutta la miseria, di tutto il dolore e anche di tutto il peccato del mondo. Allora si capisce come, anche oggi, in tutta l'esperienza umana di miseria, di sofferenza, di gioia, di esultazione, di dolcezza, di pace, di amore, è Dio stesso che vive... un mistero immenso: Il mistero dell'incarnazione divina compie veramente il mistero della creazione di Dio. Certo, la creazione per sé non esige l'incarnazione divina, ma è anche vero che tutto tende, per libera volontà del Padre, a questa incarnazione futura, e tutto in questa incarnazione trova il suo compimento. Così la parola dell'uomo, l'espressione di tutta la sua vita, di tutta la sua storia, attende il Cristo, perché già è Lui che in quella parola ci parla; attende il Cristo che possa pienamente farla sua, perché già, quando è pronunciata, il Cristo stesso in qualche modo, misteriosamente si anticipa e si fa presente in questa esperienza umana. In altre parole: nell'Antico Testamento ci sono grandi figure del Cristo, Isacco, per esempio, che viene immolato, Giosuè che entra nella terra promessa... e a queste due grandi figure si richiama lo stesso Nuovo Testamento. Sembra che Paolo, nella Lettera ai Romani, veda il sacrificio di Gesù nella luce del sacrificio di Isacco. Ed è chiaro, d'altra parte, che l'autore della Lettera agli Ebrei vede la figura del Cristo nella luce della figura di Giosuè...
È il Cristo che ci ha portato nella terra del riposo. Andiamo dietro a Lui dunque, come il popolo ebraico è andato dietro a Giosuè. In queste figure dell'Antico Testamento non è presente l'uomo in generale, è l'uomo che appartiene a un popolo, l'uomo che appartiene a una storia; ma ci sono altre figure nell'Antico Testamento che ci dicono - e questo insegnamento è uno dei più grandi dell'Antico Testamento - come l'uomo per sé è figura del Cristo; non l'uomo in quanto è sacrificato da Abramo, non l'uomo in quanto entra nella terra di Canaan, ma in Giobbe, l'uomo in quanto soffre, l'uomo in quanto muore, ed è l'uomo in quanto ama nel Cantico dei Cantici.
L'uomo è già figura di Gesù. La creazione stessa, prima ancora della Storia Sacra di Israele, accenna al Signore, lo annuncia, lo prefigura, lo anticipa. Così tutta la vasta esperienza del mondo anticipa misteriosamente la presenza del Cristo nella storia degli uomini. Già nell'Antico Testamento vi sono altre figure che non hanno relazione con la Storia Sacra, eppure sono figure del Cristo: per esempio Giobbe, il quale non ha nessun rapporto con la Storia Sacra; anzi, secondo la stessa Scrittura, è uno che non appartiene neppure al popolo santo, è un idumeo. Eppure non vi è una prefigura più impressionante di Gesù: egli soffre. La sofferenza il Signore l'ha voluta per Sé. Quando si è incarnato, tutto quello che è dell'uomo è divenuto di Dio; tutto quello che è umano, Dio l'ha preso per Sé, è divenuto sua proprietà. Così ancora nel Cantico dei Cantici, si dice che lo sposo e la sposa sono figure del Cristo e della Chiesa. Anche in questo caso non vi è un rapporto con la Storia Sacra, il Cantico ci parla soltanto di amore, di un sentimento comune ad ogni uomo. In questa esperienza, che sembra tanto profana ed è universale, il Cristo è presente. Anche l'amore umano misteriosamente fa presente Gesù. Tutto è figura, tutto è profezia, tutto anticipa il Cristo; non vi è nulla dell'uomo che non ci parli ora di Dio. Egli ha assunto davvero l'uomo. Non soltanto Israele, ma l'uomo; così il Salterio è parola di Dio, non solo perché ha il riferimento con la Storia Sacra di Israele, ma immediatamente e prima di tutto perché ha un rapporto con l'uomo: è la sua parola.
Vi sono salmi che parlano anche della storia d'Israele, ma gran parte dei salmi parla della vita dell'uomo indipendentemente dalla Storia Sacra: parla delle sue pene e parla delle sue gioie, parla della famiglia e della città; parla del rapporto dell'uomo con il mondo, parla del rapporto del mondo con l'uomo. L'uomo è colui che parla e prega in questi componimenti, e l'uomo è Cristo, perché l'uomo veramente diviene uomo, solo quando il Verbo lo assume.
Così la parola umana, anche nell'espressione della sua sofferenza, è espressione pure di una vita che è più che umana, perché è la vita stessa di Dio. Non vi è nulla che non sia sacro. La divisione del sacro dal profano deriva dal nostro peccato, ma l'incarnazione di Dio di nuovo e più intimamente ha congiunto a Dio tutto l'uomo, tutta la creazione e perfino la sofferenza e la morte, conseguenze del peccato. Se noi veramente vedessimo con occhi puri, se noi sapessimo vivere con anima religiosamente profonda, noi vivremmo attraverso tutta la vita la nostra comunione con Dio, perché Dio veramente nulla ha rifiutato di quello che è umano, tutto ha fatto suo, perché tutto Egli ha assunto. È questa la grandezza del Salterio, ma è anche questa la sua difficoltà. Prima di essere parola di Dio è parola dell'uomo, e noi siamo quest'uomo; noi siamo troppo miseri per far nostra tutta questa esperienza di dolore umano, ed anche di gioia: noi siamo solo frammenti di umanità. Non è il Cristo che e meno uomo di noi, non siamo noi che siamo più uomini di Lui: Egli solo ha potuto realizzare l'uomo, Lui che era Dio. E Lui solo ha potuto anche far sua pienamente questa parola. Il Salterio non è pienamente la parola di alcun uomo tranne che questi non sia riconosciuto in Gesù di Nazareth che era anche Dio. E noi non possiamo vivere il Salterio, far nostra questa parola senza aprirci, dilatarci, senza perdere quello che di chiuso, di troppo personale, di proprio noi abbiamo. La nostra proprietà è quella di non averne più alcuna, perché tutto è nostro. Se vive in te l'universo, allora il Salterio può divenire la tua parola.
Se sentiamo difficoltà a pregare attraverso i salmi, è perché ancora ci si compiace di quello che siamo noi, distinguendoci dagli altri, scindendo la nostra esperienza dalla loro. Si vuol coltivare il nostro piccolo io, non si vuole aprirci ad abbracciare l'universo. Ma nella misura che coltiviamo il nostro piccolo io e crediamo di possedere più Dio, cessiamo di essere l'uomo e non possiamo mai divenire Dio, perché l'unico modo per noi di divenire Dio è di essere pienamente uomo, dal momento che Dio ha assunto l'uomo, tutto l'uomo, e in Lui l'uomo è divenuto uno. Questa è la spiritualità cattolica contro ogni spiritualità che tenda a stabilire certi confini e divisioni, e rischi così di compromettere l'unità della vita, contro ogni liberalismo religioso in cui si perda il senso del mistero. Si va da un abisso all'altro e non si trova mai l'equilibrio. La spiritualità cattolica è la spiritualità del Christus totus, ed è soltanto nell'essere in Lui e nel trasformarci in Lui che il Salterio diviene anche la nostra parola.
Se, d'altra parte, l'uomo che si esprime nei salmi non è l'uomo che è legato per sé a una Storia Sacra - ci sono salmi che richiamano Sion, la storia della liberazione dall'Egitto, ma in gran parte, come si è detto, sono espressione soltanto dell'uomo vivente nella sua condizione terrestre - se i salmi dunque, in gran parte, hanno per autore non l'uomo di un certo popolo e di una certa storia, ma l'uomo in generale, ne deriva anche questo: che noi attraverso il Salterio possiamo renderci conto di una sacralità che è propria di ogni umana parola. Non solo la parola di Abramo e di Mosè, non solo la parola di Isaia e di Geremia sono parola di Dio; la parola di ogni uomo, in qualche modo, è parola di Dio.
Noi non siamo assicurati certo di una ispirazione divina riguardo ai libri dell'umanità, non siamo certo assicurati di una loro inerranza e soprattutto di una loro ispirazione, cioè di una volontà divina che ha parlato attraverso quel tale linguaggio, però il fatto di non aver garanzia, il fatto di non aver assicurazioni precise, non ci toglie dal pensiero che veramente dobbiamo avere riguardo per ogni umana parola, un rispetto come di cosa sacra; non si tocca l'uomo senza toccare Dio, dal momento che in ogni uomo che parla, Dio stesso si accenna, in qualche modo si annuncia, in qualche modo si fa presente.
I salmi hanno anche certamente un rapporto di dipendenza dai salmi della Mesopotamia, dai salmi che si cantavano nel culto di Canaan, nel culto religioso degli ittiti, degli egiziani... Anche questo ci dice come veramente non solo tutta la vita dell'uomo, ma la parola dell'uomo ha una sua sacralità. In ogni uomo che parla, Dio stesso parla; in ogni uomo che vive, Dio veramente vive. Egli non ha escluso alcuno. Questo non vuol dire che io possa ritenere che la Bagavatgitasia sacra come il Salterio o come il Cantico dei Cantici o come il profeta Isaia; questo non vuol dire che I ricordi di Confucio siano ugualmente sacri come i Vangeli o come le Lettere di Paolo; questo assolutamente non vuol dire che il Libro del Tao, di Lao-Tze sia ugualmente sacro come il Quarto Vangelo, no certo, ma questo vuol dire che anche questi libri sono sacri. In che misura? Non siamo sicuri in che modo è intervenuto Dio, ma Dio sempre interviene quando interviene l'uomo. Fin dall'inizio Egli ha voluto l'incarnazione del Verbo, fin dall'inizio mai l'uomo, nel pensiero di Dio, è stato separato da Lui. Nel peccato stesso Dio gli è stato vicino perché Gesù è disceso fin nell'abisso del nostro peccato. Che cosa Dio non ha assunto? Solo il rifiuto dell'uomo all'amore di Dio, non lo stato del peccatore. Pertanto l'esperienza umana nella sua totalità, tranne il semplice rifiuto di una volontà, che è la morte, ha un senso divino. Che rispetto di ogni forma, che rispetto di ogni vita, che rispetto di ogni parola ci suggeriscono i salmi! come tutto, attraverso il libro dei salmi, appare sacro! Sacro il banchetto che unisce lo sposo alla sposa coi figli intorno alla tavola, sacro il sospiro dell'esule che ricorda la patria lontana, sacro l'amore che unisce gli sposi, sacra perfino la guerra e l'edificazione della città, sacro il lavoro dell'uomo, sacri la sua gioia e il suo dolore; perché è vero che se i salmi sono veramente l'espressione di tutta l'umana esperienza, gran parte di questa umana esperienza è il soffrire del mondo. Non per nulla anche i salmi, più che di ogni altra esperienza, ci parlano di questo dolore.
In questo rinnovamento che il concilio Vaticano II vuole operare, non solo nelle strutture ecclesiali, ma soprattutto nel costume cristiano, nella pietà, i salmi ci insegnano a trascendere tutte le singole devozioni, per vivere la sacralità di tutta la vita, per vivere tutta la vita come impegno sacro che ci unisce a Dio! Sono i salmi che trasformano, trasfigurano e consacrano tutto il vivere umano, la gioia come il dolore, la casa come la città, la montagna come il mare, il giorno come la notte, in tal modo che attraverso i salmi tutta la vita dell'uomo diviene davvero una liturgia, non quella liturgia che si è ridotta a dei poveri gesti che dicono più nulla, ma la liturgia che è tutta la vita del mondo: il sole che sorge, l'uomo che entra al lavoro, gli sposi che si amano, i bambini che crescono, le guerre dei popoli, tutto è una liturgia in cui l'uomo parla a Dio e Dio parla all'uomo.
Questa è la liturgia. Per questo si vuole ridurre al minimo il rito, perché l'anima riviva invece questa liturgia cosmica, che è la vera liturgia cristiana, onde tutto veramente è assunto da Dio, tutto diviene atto sacro, celebrazione liturgica. Se i salmi non ci insegnassero questo, non ci insegnerebbero nulla; si reciterebbero allora senza pensare a quello che si dice, senza partecipare a quello che è il loro contenuto, perché noi restiamo al di fuori. Possiamo credere di vivere la preghiera pura, ma intanto si recitano delle parole che non sono le nostre parole.
I salmi sono la parola dell'uomo proprio perché sono la parola del Cristo: egli che ha assunto tutto l'uomo, ha potuto anche consacrare così tutta la sua vita. Di fatto, prima che questa esperienza umana fosse fatta propria da Cristo, veramente vi era un mondo profano, veramente vi era un mondo dissacrato, ma attraverso i salmi, preghiera del Cristo, tutta quanta la vita del mondo ritorna una sacra liturgia.
Tu ora che dici i salmi non puoi sentirti separato dal contadino che lavora. Sei con i vendemmiatori, con i mietitori anche tu; anche tu cogli l'uva e la pigi nel tino. Mentre leggi i salmi non ti puoi sentire separato dallo sposo che vive la sua unione con la sposa. Se tu non vivi il Salterio non vivi il mistero di quella redenzione universale che proprio in queste parole si esprime. Il Cristo ha ridonato all'esperienza dissacrata, e perciò divisa dall'uomo, l'unità nel suo cuore, nell'anima sua. Che cosa Dio non ha assunto? solo il rifiuto dell'uomo alla sua volontà. Ma il rifiuto è qualche cosa di negativo, tutto quello che è, Egli l'ha fatto suo: ed è la gioia, ed è il dolore, ed è l'amore ed è la vita associata ed è la vita intima, ed è tutta la vita. Anche la guerra, anche l'amore. È difficile capire l'amore cristiano, perché l'amore cristiano è violenza, è qualcosa che ti strappa, ti sradica, ti rovina. Il Signore non gioca; ed anche il tuo amore per gli altri non è un gioco. Certo che tu puoi rinunziare a salvare te stesso, ma non puoi rinunziare a salvare gli altri: e tutti ti sono affidati. E devi salvare gli altri, anche coloro che ti offendono. Ma come li salvi se non opponendo una resistenza all'odio, al peccato, se non combattendo il male?
Solo l'amore giudica l'amore. Non vi è atto umano che si identifichi all'amore, ma tutto può essere segno di amore. Può essere che anche il dare il mio corpo al fuoco non sia carità, può darsi che anche il dare tutto in elemosina ai poveri non sia carità, e può essere invece che la condanna dell'empio sia carità perché nostro Signore condanna, ed Egli è l'Amore. Dio che è l'Amore è anche violenza infinita, non ci lascia riposare un istante. Veramente Dio è un Dio geloso non è Egli come l'amore buddista che si stende su tutto senza stabilire un rapporto personale con alcuno. Perché egli ti ama, egli fa del tuo atto il suo paradiso, in te trova veramente la sua gioia e può volere per te la sua morte. Durissimo è l'Amore: come il diamante, più del diamante. Sì, anche il combattimento, la guerra possono divenire l'atto di Dio dal momento che sono l'atto dell'uomo. Anzi la guerra è l'esperienza umana fondamentale, così come è l'esperienza fondamentale della creazione.
Tutto è guerra, non vi è che la guerra nella creazione: gli elementi sono in lotta fra loro, gli animali fra loro: dobbiamo riconoscerlo, è un fatto. E non è un fatto che sembra dipendere solamente dal peccato; oggi, comunque, è l'esperienza fondamentale della vita dell'universo, è l'espressione più universale della vita. Per questo, dopo la sofferenza, l'argomento fondamentale dei salmi è proprio la guerra, se non la guerra dei popoli, la guerra dell'uomo contro l'uomo, contro i suoi avversari.
Non ci dovrebbero essere nemici, ma di fatto sembra che il salmista non conosca altro che nemici; di amici ne conosce ben pochi e quando conosce gli amici, anche questi lo hanno tradito. Anche gli amici sembra conoscerli soprattutto nel loro tradimento. È questa l'esperienza umana, ed è terribile questa esperienza!
Se il Salterio è la parola dell'uomo, veramente non c'è un libro che più del Salterio descriva la miseria, ma anche il dramma, la tragedia della vita umana.

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