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mercoledì 23 novembre 2011

La progressione dell'insegnamento

La progressione dell'insegnamento

Per vivere i salmi come nostra preghiera s'impone prima di tutto che noi consideriamo il Salterio nella sua unità. In realtà, come ogni vero libro, anche il libro dei salmi ha una sua unità e gli esegeti cattolici un po' influenzati, almeno per questo lato, dalla esegesi razionalista e protestante si fermano, mi sembra, troppo esclusivamente a considerare i generi letterari ai quali appartengono le singole composizioni e distinguono i salmi di supplicazione e i salmi di lode, gli inni, i salmi della regalità, i salmi di Sion, poi le supplicazioni private da quelle pubbliche, i salmi di imprecazione: cioè tanti generi letterari, quanti sono i contenuti specifici delle composizioni poetiche che fanno parte del libro. Io non contesto la legittimità di una simile classificazione; dico soltanto che per alcuni motivi è opportuno vedere, in un'esegesi dei salmi, la differenza che vi è fra un inno e una supplica, fra un canto di ringraziamento e un salmo di imprecazione; tuttavia mi sembra che questa distinzione dei generi letterari debba essere esaminata in un secondo tempo.
La prima cosa che s'impone per chi vuole affrontare il libro dei salmi, è rendersi conto che il Signore ha voluto che si presentasse a noi questo libro in una certa sua unità, che ci sfugge molto spesso, ma dà a noi la chiave migliore per l'interpretazione religiosa dell'intero Salterio.
È un libro unico: dividere le singole membra e disporle in un ordine arbitrario, sia pure anche legittimo sul piano razionale, ma non certamente voluto da Dio che ci ha dato il libro così com'è, mi sembra che sia compromettere la stessa comprensione del libro ispirato. È un po' come sezionare un cadavere. Già togliere all'unità del libro le singole composizioni, forse, vuol dire compromettere il significato che hanno nell'insieme, forse vuol dire compromettere l'unità di quell'insegnamento che ci deriva dall'unità del libro; forse vuoi dire mettere noi stessi nella condizione di non capire fino in fondo che cosa ogni composizione vuoi dirci, che cosa vuole insegnarci e come noi dobbiamo farla nostra nella preghiera. Non contesto la legittimità di riconoscere, se lo possiamo, a quale tradizione si debbano le singole parti di un libro, ma contesto la legittimità di una divisione di un libro ispirato perché lo Spirito santo, se ha ispirato le singole parti, ha ispirato anche l'insieme; e facendo raccogliere nell'unità di libro quanto si doveva ai diversi autori umani, alle diverse tradizioni, ha fuso tutto in una superiore unità.
Sono ispirati i singoli testi, e sono ispirate certamente tutte le parti e tutte le composizioni poetiche del libro dei salmi, ma è un'ispirazione sacra che unisce anche le singole composizioni in un libro e dà forse alle singole parti, proprio in un loro rapporto col tutto, un più alto e profondo significato e valore. Pertanto è necessario che si considerino i salmi nel loro insieme: che cosa essi ci dicono?
Una delle difficoltà maggiori per entrare nel libro dei salmi deriva proprio dal fatto che essendo essi composizioni che non sembrano aver direttamente rapporto tra loro, è difficile riconoscere l'unità del libro nel quale sono state poste. È una raccolta e sembra una raccolta antologica, una raccolta che non implichi per sé un'unità superiore a quella che hanno le singole composizioni. Il libro dei salmi, in realtà, è un poema, il poema lirico di tutto un popolo, di tutta l'umanità, il poema di Dio. È difficile vedere come un salmo possa essere veramente la voce di tutta l'umanità e non la voce di un uomo in un singolo momento della sua vita. È difficile che il carattere frammentario della lirica non si manifesti in tutta la sua forza nei salmi e non renda perciò anche più difficile per noi il far nostra questa parola. Il salmo sembra uno scritto occasionale, legato troppo a un certo tempo, a un certo individuo: come può divenire la nostra parola? la parola di ogni uomo? E tuttavia si deve riconoscere al Salterio un profondo carattere di unità, non ostante la frammentarietà dei singoli canti.
Intanto il fatto di essere centocinquanta dice qualcosa: il numero suppone già un'intenzione. Così la sua divisione in cinque libri vuol dire qualcosa per l'ebraismo, per Israele: ricorda forse i cinque libri della Torah? Il Salterio inizia con un salmo che evidentemente vuol essere una introduzione, termina poi con una grande dossologia, che ne è veramente la fine. Come il primo salmo ha un valore principalmente in riferimento a tutti i salmi che lo seguiranno, così il salmo 150 ha principalmente valore di fine e di compimento. L'unità del Salterio non toglie la diversità delle composizioni, dei generi letterari ai quali appartengono i singoli carmi.
Dio, il primo autore del libro, ha potuto togliere ogni singola composizione al suo carattere occasionale, per ordinarla a una più vasta e complessa unità e ha potuto fare di tutto il Salterio un libro che fosse l'espressione della vita e della preghiera dell'umanità, di tutti i tempi.
A proposito del numero centocinquanta è evidente che non è un numero qualunque, come non sono un numero qualunque i cento canti della Divina Commedia; come non sono un numero qualunque le trecentosessantatre poesie, concluse dalla lode alla Vergine, del Canzoniere del Petrarca. Tutta la vita umana si esprime in canti che sono quanti i giorni dell'anno: tutti gli anni sono uguali. I cento canti della Commedia vogliono significare la plenitudine di un poema che vuole tutto abbracciare. Così il numero centocinquanta dei salmi ha un valore e noi non possiamo trascurarlo. Che cosa voglia significare è ben difficile a determinarsi, ma la difficoltà non basta a escludere l'intenzione segreta che unisce tutte le composizioni in un libro. Certamente il giudaismo ha conosciuto tante altre composizioni poetiche e di preghiera che non sono entrate a far parte del Salterio. Le centocinquanta composizioni di esso sono divise in cinque libri, come i cinque libri della Legge. La parola di Dio a Israele, come manifestazione della sua volontà, si trasforma con i salmi nella parola che l'uomo rivolge a Dio nella sua preghiera. Per il giudaismo l'ispirazione dei libri profetici e sapienziali è di secondo ordine: la vera parola di Dio è la Legge ed è insuperabile. Anche il Messia non deve che compiere la Legge. Alla Legge corrispondono i salmi; cinque sono i libri della Torah, cinque sono i libri dei salmi. Alcuni parlano dell'Esateuco, aggiungendo cioè ai cinque libri il libro di Giosuè, ma secondo il canone ebraico Giosuè appartiene ai profeti. Quelli che chiamiamo libri storici, per gli ebrei sono libri profetici: Giosuè, i Giudici, i due libri di Samuele, i due libri dei Re, sono i primi profeti. Appartengono a un altro ordine, in rapporto ai libri della Legge; sono come la manifestazione di quella assistenza divina che, dopo la costituzione d'Israele come popolo di Dio, continua a difendere e a guidare il popolo santo. Quello che costituisce il popolo di Dio è la Legge, che il popolo riceve da Dio stesso sul monte Sinai. Al dono della Legge è ordinata la storia dei patriarchi, la liberazione di Israele dall'Egitto, il passaggio del mare, il cammino attraverso il deserto. Quell'avvenimento, fra tutti, costituisce il tempo sacro d'Israele. Come per noi l'avvenimento sacro è la morte di Croce, così il tempo sacro per Israele rimarrà sempre il passaggio del mare, il viaggio attraverso il deserto, la salita al Sinai, il dono della Legge e la conclusione dell'alleanza, ratificata dal sangue. Come la liturgia cristiana fa presente il mistero della morte di Cristo, così Israele, nella sua liturgia, fa presente quell'avvenimento che aveva sancito l'Alleanza di Dio con il popolo eletto. I testi liturgici essenziali d'Israele non vogliono essere che la commemorazione liturgica della liberazione dall'Egitto, del passaggio del mare, del dono della Legge a Mosè. Non è che questi avvenimenti si ripetano, si fanno presenti. Lo insegna solennemente il Deuteronomio: Dio non parla soltanto alla generazione di Mosè: Israele rimane ai piedi del Sinai per ricevere ogni giorno la Legge; ascolta Dio che gli parla e risponde alla parola di Dio col suo impegno di obbedienza.
La risposta di Israele si esprime nei salmi. Quante volte i salmi esaltano la Legge divina, quante volte ci dicono che la vita religiosa d'Israele è la meditazione amorosa della Legge di Dio! Quante volte il ricordo dei grandi fatti dell'esodo diviene la meditazione religiosa e l'occasione alla lode e al ringraziamento dell'orante!
Nei cinque libri della Torah è Dio che parla agli uomini: ora, per la forza stessa della parola ascoltata, gli uomini parlano a Dio: alla Legge rispondono i salmi. I libri della Legge dicono quello che Dio ha compiuto in favore del suo popolo, i salmi dicono la risposta del popolo, e la risposta è, prima di tutto, preghiera. L'azione dell'uomo infatti prima di essere obbedienza è preghiera. Il rapporto fra la Torah e il Salterio è quasi certamente voluto dall'agiografo. Anche per questo noi possiamo riconoscere l'unità del libro dei salmi.
Ma il Salterio non risponde solo ai libri della Legge come risposta dell'uomo al dono di Dio; esso continua anche la Storia sacra d'Israele. Il Pentateuco esalta la liberazione d'Israele dall'Egitto, il dono della Legge, il cammino attraverso il deserto: strumento dell'azione, al centro di tutti, è Mosè, servitore di Dio; i cinque libri dei salmi celebrano invece la monarchia, ricordano e insistono soprattutto sulla promessa di Dio di una discendenza eterna a David, di un regno universale, esaltano la città regale e il Tempio di Dio: l'uomo che è al centro di tutto è David cui si attribuisce anche la composizione dei salmi e il Figlio di David promesso da Dio. Nei libri della Legge è l'epopea di un popolo nomade, nei salmi è il canto di un popolo che si è stabilito nella sua terra, ha costruito le sue città, ha una sua civiltà. Alla nostalgia del deserto subentra, nei salmi, la fierezza dell'uomo che sente di appartenere al Regno di Dio e sente la nostalgia della propria città.
Vi è una progressione nell'insegnamento del Salterio? Compito arduo da determinare, perché in realtà anche fra gli ultimi salmi ve ne sono di drammatici in cui ancora è presente la sofferenza e forse il peccato. E tuttavia dobbiamo riconoscere che vi è un processo verso la luce. Dall'esperienza del dolore, del peccato, della morte, l'uomo procede, attraverso i salmi, verso la lode divina. Quasi al centro del Salterio i salmi della regalità, poi i salmi del pellegrinaggio e finalmente gli ultimi salmi non sono più che una lode. Dall'esperienza del peccato, della lontananza da Dio, dal sentimento vivo di una persecuzione mossa da tutti i nemici, l'uomo procede verso la patria che è la presenza di Dio: è il cammino dell'umanità ed è il cammino dell'uomo.
I salmi sono dunque un breviario di vita spirituale, non solo dell'umanità, di cui già prefigurano la storia e il cammino, ma anche di ciascun uomo che dall'esperienza della lontananza, della solitudine umana, della morte, procede verso la salvezza finché non giunge al canto e alla lode pura e interminabile a Dio. Analizzare i salmi in questo senso vuoi dire rendersi conto del loro contenuto come significato di una vita umana totale, trasfigurata dalla grazia e divenuta l'espressione stessa di un cammino che conduce a Dio.

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